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Statistica, suicidi, criminalità mediatica
Il capo dell’Istat ha certificato in forma definitiva e solenne che i suicidi per la crisi come fenomeno montante e allarmante erano un’invenzione pura, una trovata a sfondo criminale. Giornali e telegiornali (quasi tutti) e politici arruffoni e malintenzionati come Di Pietro, gente che ha avuto la spudoratezza di rinfacciare la morte per crisi a Monti e ai suoi, ci hanno ampiamente speculato per mesi: si sono indignati e ci hanno fatto indignare, ora dovrebbero vergognarsi e farci vergognare.
Il capo dell’Istat ha certificato in forma definitiva e solenne che i suicidi per la crisi come fenomeno montante e allarmante erano un’invenzione pura, una trovata a sfondo criminale. Giornali e telegiornali (quasi tutti) e politici arruffoni e malintenzionati come Di Pietro, gente che ha avuto la spudoratezza di rinfacciare la morte per crisi a Monti e ai suoi, ci hanno ampiamente speculato per mesi: si sono indignati e ci hanno fatto indignare, ora dovrebbero vergognarsi e farci vergognare. Se solo in questo paese ultraconformista ci fosse un po’ più di coraggio si troverebbe il modo di mettere questi demagoghi di fronte alla loro responsabilità civile. Che un giovane su tre sia disoccupato, inoltre, è una cazzata. Sui temi del lavoro si gioca da vent’anni e più una partita d’odio con i suoi morti ammazzati. L’universo virtuale di disperazione, che affianca e deforma in modo grottesco e ideologico le sacche di malessere vero, è il luogo di proscenio in cui la battaglia dell’odio sociale e politico si dispiega davanti a tutti noi. Ieri come sapete a Napoli c’è stata guerriglia urbana, il ministro del Lavoro è finito assediato, e giù botte, bottilgie molotov, barricate, animi esasperati, giovani trascinati nel gorgo della menzogna socialmente e politicamente utile, guerra simbolica a una donna il cui cognome, Fornero, da Napoli alla Milano della Lega, dovunque risuonino gli slogan dell’estremismo ributtante, continua a fare macabra rima con “cimitero”.
Enrico Giovannini è dal 2009 il boss dell’Istat, l’istituto pubblico di ricerca che in modo indipendente dal 1926 dà in Italia i numeri che contano per giudicare la realtà del nostro benessere o malessere, insomma il ritratto ben censito e numerologicamente sostenuto dello stato delle cose. Ha parlato a Bologna due giorni fa, discorsone strategico presso la “cattedra” universitaria del club del Mulino. Giovannini, che è un professorone e ha esperienza internazionale di governo della scienza statistica, ha detto cose importanti sul posto dei numeri nel nostro mondo dell’informazione, buoni numeri e cattivi numeri, sospesi sempre tra ideologia e descrizione della realtà, pregiudizio e indipendenza mentale. Ha parlato del diluvio dei dati, della loro sempre maggiore precisione nel seguirci e schedarci e definirci, Big Data e Data Deluge, della capacità dei dati di prodursi e distendersi con sempre maggiore apertura sulle tavole 2.0 dell’informazione tecnologica. Ci torneremo ampiamente, perché non c’è questione più importante sia per la conoscenza sociale sia per la deliberazione o decisione politica, ma intanto prendiamo atto del fatto che “distinguere i dati reali da quelli inventati ad arte”, sia quando si parli di clima o di diete o di malattie, sia quando si debba stabilire un grado di realtà da cui far discendere decisioni politiche e legislative vincolanti, è la faccenda che dobbiamo risolvere. E’ un vecchia battaglia di questo giornale: il gioco dei numeri nell’abuso della statistica, impresa così diffusa e così redditizia nel mondo della ricerca privata o di parte, è una delle più ciniche espressioni del tramonto della cultura civile e del pudore intellettuale su cui si fondano le famose e tanto invocate virtù repubblicane.


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