La Repubblica di Angelino

Giuliano Ferrara

Dicono che il segretario del Pdl Alfano si dovrebbe dimettere per consentire primarie ad armi pari. Troppo zelo. Non lo ha fatto neanche il segretario del Pd Bersani, e nessuno prima di lui, nelle primarie spontanee, non codificate, che sono recente tradizione nella tumultuosa e incerta democrazia italiana. (A proposito, la prima cosa da fare, visto che questa passione di dare ai cittadini la scelta da subito si è diffusa in modo travolgente, è codificare per legge, il più liberamente possibile, le primarie).

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    Dicono che il segretario del Pdl Alfano si dovrebbe dimettere per consentire primarie ad armi pari. Troppo zelo. Non lo ha fatto neanche il segretario del Pd Bersani, e nessuno prima di lui, nelle primarie spontanee, non codificate, che sono recente tradizione nella tumultuosa e incerta democrazia italiana. (A proposito, la prima cosa da fare, visto che questa passione di dare ai cittadini la scelta da subito si è diffusa in modo travolgente, è codificare per legge, il più liberamente possibile, le primarie).
    Deve invece, Alfano, proporre alla presidenza del partito di nominare un comitato di tre saggi, questo sì, che faccia da garante per tutto il processo di qui al 16 dicembre. Magari con qualche nome a sorpresa, anche esterno e trasversale, ma autorevole e non di sagrestia. Anche soltanto il sospetto di procedure scorrette, di trucchi oltre la soglia della ordinaria sciatteria di eventi politici non compiutamente normati e di corso recente, sarebbe ovviamente letale per la credibilità dei risultati.

    Alfano deve inoltre stupire per larghezza di vedute, altezza e significatività delle intenzioni. Sorprendere, farsi uno stile e un carattere. Dovrà cancellare il ricordo della semplice e lodevole lealtà del giovane attendente al signore della casa di Arcore. Berlusconi è stato un monarca illuminato, amicone, patriarcale, un artista nelle relazioni umane e politiche, un post moderno di talento, un attore pop dalle molteplici incarnazioni sulla scena italiana e internazionale, e se lo poteva permettere per via della sua storia, delle sue risorse leggendarie, del suo genio ineguagliabile; Alfano dovrà più modestamente, ma con fermezza e severità, repubblicanizzare berluscolandia. Berlusconi nel ‘94 fece qualcosa di stupefacente: nuovo linguaggio politico, dimensione e implicazione personale come tratto decisivo di una leadership, cartello elettorale non professionale, “antipolitica” al servizio di una strategia politica sottilmente “fiorentina”, culto della buona esposizione mediatica, una linea chiarissima nel descrivere ciò che andava evitato (la macchina da guerra dei progressisti di Occhetto) e ciò che andava promosso (la costituzionalizzazione di una Lega separatista e del Msi postfascista in alleanza con un partito conservatore e liberale di massa, nel segno anche nordista della libertà del cittadino e dell’impresa dal prepotere dello stato).

    Quasi tutto è cambiato da allora, ma Alfano deve restituire identità politica e senso elettorale a un esercito che per diciotto anni è vissuto nella testa e nei sentimenti di un capo carismatico, un’armata in cui le gerarchie erano labili, e i criteri di selezione molto andanti, sebbene il Pdl non sia poi tanto inferiore, e forse nemmeno di poco, alla media dei partiti italiani più tradizionali e professionali. I suoi migliori ex ministri, economisti, capi parlamentari non sono così diversi da quelli che furono i dirigenti dell’opposizione, e certamente migliori della sparpagliata accozzaglia antropologica raccolta intorno agli antipolitici dentro e fuori dal Parlamento. Subentra, il quarantenne, a un meraviglioso despota ultrasettantenne, a un satrapo immensamente popolare e amato (oltre che ferocemente odiato e combattuto), e deve applicare procedure condivise per un risultato di leadership dentro una struttura collegiale. A costo di procurarsi qualche rischio e un po’ di disordine, non deve farsi consegnare all’immagine di un politico di scuola democristiana (ottima ma per così dire datata), di un siciliano di razza che procede per affiliazioni familiari e prudenze snervanti. Non si deve parlare di Alfano, nei prossimi mesi, per capire se sia indipendente da Berlusconi (o lo è, nel rispetto, oppure è meglio che non tenti nemmeno l’impresa), se sia pro Maroni o pro Casini (le alleanze verranno dopo la ricostruzione di una minima base credibile sul troncone del partito che vinse le elezioni del 2008 (ricordiamocelo, anche se sembra passata un’era), se sia in grado o no di liberare le liste del Pdl da ingombri eccessivi, candidature francamente invalidanti eccetera.

    La premessa di fattibilità di tutta l’operazione immaginata e decisa da Berlusconi con la sua dichiarazione del 24 ottobre è che Alfano abbia, con il contributo di tutti e garantendo tutti con un comportamento cristallino e persuasivo verso il paese, almeno cento giorni di stato di grazia, di forte autonomia da impiegare per favorire il confronto delle primarie, il voto, la scelta della nuova leadership e il suo consolidamento (se gli elettori del centrodestra decideranno per lui, ovvio). Né deve farsi risucchiare, non già in una discussione anche aspra e tormentosa, fatta di confronto di idee e di battaglia, quella ci vuole eccome, ma in una contesa che appaia come rissa di potere, di piccolo potere, ristrutturazione dei pesi e delle misure in una nomenclatura superstite, che deve dividersi le spoglie di una balena arenata. Un insieme di combriccole non è né un partito né un movimento. Un movimento popolare diventa possibile se rinasca il senso di un disciplinamento degli ardori e degli eccessi, l’adesione a un codice collettivo di disponibilità verso il paese prima che verso la lobby di riferimento; queste cose sanno di politica buona e semplice se lette in vista di un lavoro di lungo corso, che parte dai risultati possibili del 2013 (e sono possibili anche risultati molto sorprendenti, a certe condizioni), in vista del dopo Berlusconi, insomma, e della ricostruzione di un soggetto strutturato, riformatore, aperto e perfino simpatico, meno fracassone di un tempo ma non certo spento e bolso, della destra politica italiana.

    Il primo problema è come sempre individuare una missione politica, anche ravvicinata. Nella dichiarazione di Berlusconi si offre un consiglio autorevole, che secondo questo giornale non è fatto per essere disatteso. Tenetemi da conto Monti. La sinistra con l’asse Bersani-Vendola, potenzialmente emarginato e rinviato al futuro il fenomeno riformista Renzi, vuole ribaltare la politica dell’ultimo anno, e cerca di lucrare voti sparlando di Monti come di un plutocrate, e giocano all’alleanza greca tra socialisti veterolaburisti e Syriza vendoliana. Bell’affare. Un Popolo della libertà minimamente compos sui deve fermare questo progetto di governo all’insegna della restaurazione reazionaria di criteri statalisti e anti mercato tipici delle ideologie e di sistemi non propriamente di successo del Novecento; se i conservatori liberali e riformatori non sono per la rivoluzione dei mercati aperti e del libero commercio, contro la reistituzione di una oppressiva tutela e protezione sociale che deprime spirito di intrapresa e individualismo economico e sociale, per che cosa mai saranno?

    Ma c’è qualcosa di più del semplice orizzonte del governo, che è un’occasione anche per guardare senza troppo pessimismo alla possibilità di ottenere convergenze significative, una volta recuperata la credibilità minima di un soggetto politico stabile. C’è l’establishment, non solo finanziario e bancario, che è sempre stato cinicamente contrario all’outsider Berlusconi, al suo conflitto di interessi, al suo superiore talento di businessman e di immaginazione di mercato. Berlusconi non ha mai avuto una politica di ascolto e di interlocuzione con i settori terzi della società italiana, i poteri apparentemente neutri, spesso detentori di una grande influenza editoriale, che sfuggivano alla polarizzazione del grande scontro con il gruppo De Benedetti. Alfano deve incominciare un percorso anche in questa direzione. E gli sarebbe utile mettere su uno staff di gente sensata, responsabile, competente.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.