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Perché il caso Renzi è intollerabile per la vecchia guardia ex comunista
Matteo Renzi fa scandalo. Ma la liquidazione di una antica tradizione politica merita di essere guardata in faccia per quello che rappresenta davvero. La storia dell’età conta. Ma nessuno aveva mai prodotto una vocazione potenzialmente maggioritaria da posizioni riformiste. Questa è la vera novità: idee alla Ichino, da sempre minoritarie e a malapena tollerate, che rischiano di arrivare prime al traguardo sulla scia di una leadership di rottura che si muove contro una generazione “fallita”.
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Matteo Renzi fa scandalo. Ma la liquidazione di una antica tradizione politica merita di essere guardata in faccia per quello che rappresenta davvero. La storia dell’età conta. Ma nessuno aveva mai prodotto una vocazione potenzialmente maggioritaria da posizioni riformiste. Questa è la vera novità: idee alla Ichino, da sempre minoritarie e a malapena tollerate, che rischiano di arrivare prime al traguardo sulla scia di una leadership di rottura che si muove contro una generazione “fallita”. Nella storia del Pci, che è il troncone di popolo e apparato da cui nasce il Partito democratico, era una regola ferrea che a destra, quali che fossero le ragioni del dissenso o della lotta politica, si era destinati a precoci, irrevocabili, solitarie sconfitte. Il gruppo del Manifesto, uscito da sinistra, editò un quotidiano che vive ancora, si collegò con una folta opinione culturale, ideologica, insieme popolare e salottiera, ed esercitò in certi momenti anche una egemonia civile sull’insieme della sinistra; in molti tra i borghesi progressisti e filocomunisti piegavano volentieri la schiena davanti agli eroismi e alle bellurie moralistiche della grammatica del dissenso alla Pintor, alle sofisticazioni da severa stilista del comunismo di Rossanda, e ancora oggi dagli ambienti della sinistra ingraiana, ex ingraiana, che incanto sprigiona e che profumo di idee nobili, per quanto – obiettivamente – nessuno più di loro abbia dovuto subire le dure repliche della storia, dal socialismo allegro dei cubani alla rivoluzione culturale cinese e a molte mitologie pansindacaliste e operaiste finite in rissa terrorista.
La sinistra massimalista, estremista, radicale, ha sempre esercitato un sottile o grossolano ricatto, con Vendola (che stracciò Boccia in Puglia quando Boccia era il candidato di tutto il Pd e di D’Alema in particolare), con Bertinotti perfino (che non è mai stato comunista, ma anche la commedia piace); e le masse politicizzate e militanti hanno sempre premiato l’estetica dell’inquietudine, della visione di un qualche domani capace di cantare. Invece le posizioni riformiste, democratiche socialdemocratiche, da ultimo miglioriste, sono sempre state censurate, rese marginali, apprezzate da pochi, mai un’ondata di vero consenso politico. Per decenni ha sempre funzionato il richiamo al “fascistoide” che sarebbe nel riformista, nel destro, sempre un po’ un venduto, uno che non ha più voglia di combattere, che si è riconciliato con la realtà. Tale richiamo brusco, violento, di nuovo fu tentato senza successo da un accademico commentatore dell’Unità di Bersani, ma contro la volontà di Bersani. Negli anni Trenta Silone divenne in pochi istanti un rinnegato, anche se aveva ragioni da vendere. Lo stesso accadde ad Angelo Tasca. Il torinese Celeste Negarville e il foggiano Giuseppe Di Vittorio, due teste calde e vivaci degli anni Cinquanta, e piene di sapienza d’apparato e di sindacato, attori di nomenclatura cominformista e di impronta popolare, ma di cultura pragmatica e riformista, poco ideologi e poco inclini all’ortodossia del centro d’apparato che guarda a sinistra, furono bollati come “destri” e liquidati. Più tardi toccherà a Giorgio Amendola, che voleva difendersi con un certo pessimismo realista filosovietico dalla sindrome del rinnegato, ma in realtà era il Kruscev italiano e voleva un unico partito dei lavoratori oltre la tradizione comunista e non sopportava il piagnisteo classista politicamente corretto, e fu sbeffeggiato e maltrattato prima da Togliatti e poi da Berlinguer. Come per Napolitano, un percorso dignitoso e alla fine vincente nella dimensione europea e repubblicana ma sempre sotto schiaffo delle mitologie di sinistra.
l bullismo generazionale non è il sale della faccenda, è un sapore superficiale che attira alcuni e disgusta altri. Ha la sua importanza, è il fattore scatenante, il raccordo tra mille insofferenze, il veicolo di un’umiliazione inaudita della vecchia guardia ex comunista (e di passaggio anche ex democristiana-dossettiana) o di quel che ne resta dopo l’imbastardimento della tradizione del Pci. Ma la vera sconfitta di D’Alema, che lavora alla propria immagine sommersa di ultimo comunista da anni, è questa: le idee riformiste, se è per far fuori lui e la sua generazione in nome dell’età, fanno cassetta, sbigliettano e diventano idee di massa. Lì è lo scandalo e l’intollerabilità del caso Renzi.
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