
Il bue di Repubblica dà di cornuto all'asino del Foglio
C’è un impacciato e sfortunato corsivo di Repubblica, comparso sabato scorso e non firmato, a commento di quanto avevo scritto con divertimento patriarcale sulla lite in famiglia Bordin-Rocca per il Nigergate. Dicono che siamo stati presi con le mani nella marmellata. Lo dicono con un certo imbarazzo, perché tutti, anche loro, sanno bene come stanno le cose. Rocca contrastava l’inchiesta sul Nigergate (cosiddetto) di D’Avanzo e Bonini per motivi giornalistici e politici.
C’è un impacciato e sfortunato corsivo di Repubblica, comparso sabato scorso e non firmato, a commento di quanto avevo scritto con divertimento patriarcale sulla lite in famiglia Bordin-Rocca per il Nigergate. Dicono che siamo stati presi con le mani nella marmellata. Lo dicono con un certo imbarazzo, perché tutti, anche loro, sanno bene come stanno le cose. Rocca contrastava l’inchiesta sul Nigergate (cosiddetto) di D’Avanzo e Bonini per motivi giornalistici e politici. Gli sembrava una balla messa in piedi con scarso senso della realtà e della verisimiglianza, e riteneva che le commissioni del Senato americano (ed altre britanniche) avessero dimostrato con abbondanza di dettagli, da lui conosciuti in quanto lettore attento delle carte, che non c’era trippa per gatti. Niccolò Pollari e Pio Pompa non li conosceva proprio, come non li conoscevo io all’epoca. Succede che Pollari mi chiama al giornale e si complimenta per quegli articoli così bene informati, che demolivano o comunque corrodevano le verità presunte su uno scandalo italiano-americano, il Nigergate, messe in pagina da due grandi nemici giornalistici e politici del Sismi e del governo Berlusconi e dell’amministrazione guerrafondaia di George W. Bush (inimicizia legittima).
Lusingato per l’interesse del controspionaggio italiano verso un giornale che non riporta notizie e leaks e veline dei servizi, e che non ha mai avuto rapporti con quegli ambienti, e che militava apertamente per la guerra in Iraq e la willing coalition comprendente il governo italiano, attratto dall’idea di verificare qualche particolare in più e nell’intento di sistemare per benino la fabbrica (per me, per noi) della falsa storia detta Nigergate, insomma la campagna politico-giornalistica di Repubblica, mi sono incontrato con Pollari e Rocca due o tre volte. In quell’occasione ho conosciuto Pio Pompa, suo braccio destro nei rapporti con la stampa, che rispetto e apprezzo per la sua fantastica umanità, e a cui ho chiesto di collaborare con questo giornale in piena trasparenza di firma. Pompa è stato oggetto di un maltrattamento grottesco di diffamazione e oltraggio per aver fatto e molto bene il suo lavoro, con il risultato di volare anche giudiziariamente come uno straccio. (Nel processo per la sacrosanta deportazione dell’imam milanese Abu Omar, da parte di Fbi, Cia e spero bene anche il Sismi e altre forze militari e di polizia italiane, quasi tutti i malcapitati alti papaveri hanno goduto del proscioglimento da segreto di stato, Pompa è tra i pochi condannato e messo in condizioni di avvilente isolamento e ostracismo da uno stato lealmente servito, e per me è una persona interessante, molto dignitosa, con le sue bizzarrie ma serissima, che si è rimessa a lavorare la terra nel suo Abruzzo natio e fa un pane da esiliato in patria delizioso, croccante e durevole, che ci porta in redazione di tanto in tanto, peperoncini e pomodori e olio meravigliosi, e sa essere eroico e leale anche se infarinato e senza una lira e gravemente e ingiustamente sputtanato).
Può dire altrettanto Repubblica delle sue fonti? Può rivendicare analoga trasparenza, tenuto anche conto che tutto questo andirivieni di barbefinte era oggetto di ironie e corali digressioni ed esaustive informazioni in riunione di redazione, insomma anche un po’ un gioco di società in un club di gente per bene? Direi di no. Le veline internazionali e interne della sua inchiesta sono rimaste sempre coperte, e tutti sanno che alle origini del loro “gate” ci sono settori parigini della Cia liberal, cosiddetta. Per di più ben due redattori di Repubblica sono stati presi, loro sì, con le mani nella marmellata, a trafficare con Pollari e altri dei servizi, compreso Pompa che faceva ovviamente il suo mestiere di arruolatore (con loro, non con noi, che casomai abbiamo arruolato lui). E non voglio dire di più perché queste storie mi scocciano, non sono, come non lo è Rocca, un pistarolo, siamo degli inguaribili snob, ce ne facciamo un baffo delle notizie underground dei contropoteri, ci bastano le relazioni ufficiali e il nostro giudizio politico, la marmellata delle buggerature paraspionistiche la lasciamo volentieri alle capaci dita della redazione di Repubblica, che immagino non si senta poi così rappresentata da quel goffo corsivo che dovrebbe essere intimidatorio e invece è solo esilarante. Almeno per noi, che di queste cose parliamo in chiaro, a voce alta, da sempre, e l’ultimo è stato Rocca che ha incrociato la sciabola con Bordin, senza avere alcunché da nascondere.


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