
In tv non c'è solo lo splatter dell'antimafia o la setta Casaleggio
Occhi guizzanti, espressione intelligente oltre che furba, astuta, clever, eppoi proprietà di lingua e di toni nel conflitto, nell’ironia, in qualche sorvegliato sarcasmo. Ho seguito su Otto e mezzo, ospite una Lilli Gruber in forma spettacolare, Francesco Giavazzi e Stefano Fassina che discutevano di economia, stato, mercato, lavoro, crisi, Marchionne, Fiat e politica. Ottimo spettacolo quaranta minuti anche parecchio divertenti intorno a fatti e idee.
Occhi guizzanti, espressione intelligente oltre che furba, astuta, clever, eppoi proprietà di lingua e di toni nel conflitto, nell’ironia, in qualche sorvegliato sarcasmo. Ho seguito su Otto e mezzo, ospite una Lilli Gruber in forma spettacolare, Francesco Giavazzi e Stefano Fassina che discutevano di economia, stato, mercato, lavoro, crisi, Marchionne, Fiat e politica. Ottimo spettacolo quaranta minuti anche parecchio divertenti intorno a fatti e idee, altro che il Grand Guignol narcisista e splatter sul filo di quell’impostura demenziale che è la trattativa stato-mafia o il destino della setta del Pataca o Patacca, insomma Beppe Grillo in Casaleggio, roba da palcoscenico di un manicomio. La cura Monti, quella della famosa sobrietà e della robotica-retorica, attento a quello che dici perché ha un valore e “i mercati ti guardano”, sembra aver funzionato anche con i liberisti di sinistra (ma Giavazzi non ne aveva bisogno) e con i socialdemocratici.
Giavazzi è un economista bocconiano che ha passato i sessanta, esperienza italiana ed europea in banche assicurazioni, governi, eurocrazie; e allure accademica internazionale, ideologo supremo del Corriere in materia di mercati e riforme, cattedra condivisa con Mario Monti, scuola liberale anglosassone diversa dall’economia sociale di mercato all’europea cara al premier (per Giavazzi ridimensionare corporazioni e stato è una cosa di sinistra). Fassina, bocconiano in origine pure lui, ha quasi vent’anni di meno, si è formato come politico nel Partito democratico, ha acquisito una esperienza e una competenza di economista in parte nei governi dell’Ulivo, con Vincenzo Visco, in parte al Fondo monetario internazionale (per lui lo stato deve fare la sua parte e sostenere scelte selettive di politica industriale). I due si sono scontrati su tutto, dalla spesa pubblica alla Fiat di Marchionne, a me sembra che avesse ragione Giavazzi, perché l’economia la fa il settore privato e non il Gosplan, ma non è questo che importa. Importa lo stile, in questo caso non esornativo, un fatto di sostanza.
Otto e mezzo sembrava una di quelle eccellenti trasmissioni dei broadcaster americani, con tecnici, politici e giornalisti che fanno quel che devono per farsi intendere, parlando a un pubblico ampio che è messo in condizioni di partecipare al gioco dell’informazione in una società democratica. Non semplificavano in modo osceno, evitavano l’esoterismo e il blablabla del sussiego, e veniva fuori che anche nell’Italia sfilacciata di oggi esiste una classe dirigente, c’è un nutrimento di cultura e di linguaggio che passa tra le generazioni, motiva consenso e dissenso sociale e politico, insomma un sistema che almeno virtualmente può funzionare.
Fassina potrà ben perdere le sue battaglie bersaniane, neolaburiste, anche perché c’è quella volpe di Matteo Renzi che cinge d’assedio il pollaio e il suo leader maximo ha la stoffa di un valente amministratore più che di un numero uno in politica, ma questo non toglie nulla al suo valore, ai suoi modi civili ma non corrivi, al fraseggio vagamente ciociaro, umile-appenninico ma orgogliosamente indipendente, con il quale accompagna gli argomenti tosti e critici di un sostenitore del primato della politica di sinistra, socialista e nazionale, sulle pretese dei mercati globalizzati. Può perdere una battaglia ma non la faccia. Quella ce l’ha, ciuffo compreso. Alla destra liberale mancano tipi così, tipi che sanno le cose e sanno esporre gli argomenti, tipi da latinorum: rem tene, verba sequentur.


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