
I veleni della lobby anti Quirinale
Repubblica è una lobby. Legittimo. Tutti i giornali politici lo sono, in una certa misura, e la differenza sta nel riconoscerlo davanti ai lettori o nel nasconderlo (Repubblica tende a nasconderlo sotto una coltre di retoriche civiche). Le lobby giocano su più tavoli, con maggiore o minor stile. Il Fondatore della simpatica consorteria di Largo Fochetti, Eugenio Scalfari, si attribuisce da mesi il ruolo di sostenitore dell’operazione Monti e dunque di amico e difensore del suo mallevadore, Giorgio Napolitano.
Repubblica è una lobby. Legittimo. Tutti i giornali politici lo sono, in una certa misura, e la differenza sta nel riconoscerlo davanti ai lettori o nel nasconderlo (Repubblica tende a nasconderlo sotto una coltre di retoriche civiche). Le lobby giocano su più tavoli, con maggiore o minor stile. Il Fondatore della simpatica consorteria di Largo Fochetti, Eugenio Scalfari, si attribuisce da mesi il ruolo di sostenitore dell’operazione Monti e dunque di amico e difensore del suo mallevadore, Giorgio Napolitano. E’ arrivato, il Fondatore, al punto di teorizzare che i presidenti del Consiglio per Costituzione non devono essere espressione della sovranità popolare, devono bensì essere nominati dall’alto, devono essere governi del presidente, che nomina il premier e i ministri sulla di lui proposta. Una più o meno perdonabile esagerazione, ma significativa della cultura delle chattering classes o classi discutidore. Di fronte all’attacco al Quirinale, portato dalla logica del ricatto di cui è imbevuta l’azione della parte della procura di Palermo che, figliolo pataccaro di Vito Ciancimino alla mano, vuole riscrivere la storia nazionale all’insegna dell’ignobile menzogna sulla subordinazione dello stato alla mafia, e vuole fare grossolanamente politica tribunizia alla Di Pietro, un altro spaccatutto giudiziario che ha fondato un partito e con esso vivacchia da anni ora spacciandosi per oppositore populista del governo Monti e di Napolitano, di fronte all’attacco, dicevo, Scalfari difende il presidente e critica con durezza Ingroia e i suoi associati manettari a mezzo stampa.
Il Fondatore è l’anima di mondo della lobby, fa politica con i mezzi tradizionali della politica, il suo è un mondo meridionale, che aspira ad essere colto e raffinato (fin troppo) e usa la ricerca di una morale laica, con lauto impiego di filosofemi, allo scopo di distruggere con ogni mezzo gli avversari e di farsi meglio gli affaracci suoi, che talvolta (come questa volta) coincidono con il bene del buonsenso e del paese in cui abitiamo. La denuncia del piano di ricatto che vuole mettere sotto scacco un galantuomo (anche troppo) come Napolitano resterà un merito di Scalfari, che nella faccenda è stato molto combattivo. Gustavo Zagrebelsky parlerebbe di eterogenesi dei fini: magari per vanità o per altri motivi, Scalfari è diventato il perno o l’ala marciante, a sinistra, di un rigetto assoluto della demagogia giudiziaria antistato, mascherata da antimafia.
A proposito di Zagrebelsky, del suo amico direttore di Repubblica Ezio Mauro (sono coautori di un pregevole libretto sulla crisi della democrazia costituzionale in Italia), e del suo editore Carlo De Benedetti, Fondatore del club dei miliardari intitolato nientedimeno che a Libertà e Giustizia, bisogna considerare che sono tutti piemontesi. Altra pasta di italiani, inevitabilmente un po’ ipocriti come tutti i giansenisti e i torinisti, per niente di mondo, rigidi come stoccafissi, almeno in apparenza e quando conviene esibire un Ego costituzionale utile alle buone battaglie politiche e finanziarie, sennò si chiude un occhio. L’Ego costituzionale del giurista insigne, che si divide tra la lobby dell’editore, le adunate talebane in cui i bambini sono chiamati a sparlare del capo del governo per motivi morali, il giornale tribuna affluente e di successo dei manettari d’Italia, e altri ambienti assorti nella contemplazione del proprio ombelico etico, ieri faceva sfoggio di sé in prima pagina su Repubblica, perché alle lobby non si deve far mancare mai niente, e denunciava come un tagliagole intento a intimidire la magistratura il capo dello stato, che è anche capo della magistratura.
Ha scritto, l’egoarca dell’editorialesimo eticamente pacchiano, il protettore della casta a cui appartiene dei grandi giuristi costituzionali “de sinistra”, laici e manettari, odiatori della democrazia di popolo quando gli convenga, ha scritto che Napolitano, per eterogenesi dei fini, è diventato “il perno di tutt’intera un’operazione di discredito, isolamento morale e intimidazione di magistrati” che operano per la verità, naturalmente, cioè per la messa in stato di accusa dei generali che hanno arrestato Riina e dei politici che hanno combattuto la mafia non a chiacchiere, in vista della serpeggiante accusa di strage agli homines novi di Berlusconi e compagnia. Ieri abbiamo apprezzato qui la filosofa Franca D’Agostini, che sullo stesso giornale, nella parte culturale, parlava della “vaghezza” dei confini tra lecito ed illecito nel diritto, nel linguaggio e nella politica, senza per questo rinunciare alla ricerca di una distinzione chiara tra bene e male. Questi confini per certi biforcuti della politologia e del diritto andanti non esistono. Così, in nome della necessità lobbistica di non cedere copie e spirito militante al Fatto, e di non cedere terreno a Monti e Napolitano, che non hanno accontentato la nota lobby, che hanno agito senza spirito di camarilla e in posizione terzista, sobria come si dice ed elegante politicamente, Zagrebelsky sputa veleno contro il presidente della Repubblica e gli intima di ritirare la sua sacrosanta richiesta alla Corte costituzionale: ditemi, signori giudici, se il Quirinale può essere esposto al ricatto delle intercettazioni cosiddette indirette, se dobbiamo avallare il precedente della gestione mediante interviste di brogliacci telefonici nelle mani di sostituti procuratori d’assalto che vogliono intimidire l’arbitro della Repubblica con cavilli procedurali da quattro soldi.
L’altra faccia della nota lobby è tanto magniloquente nel suo Ego quanto spregiudicata nelle sue affettazioni di legalità politica. Zagrebelsky è quel signore che ci ha fatto due palle così, quando Berlusconi vinceva le elezioni, sulla democrazia liberale in cui il popolo non deve decidere direttamente, la maggioranza non deve governare se non con i pesi e contrappesi degli altri poteri eccetera; e poi a sorpresa, quando le circostanze sono cambiate, ha sostenuto che il popolo è l’unico titolato a decidere, che bisogna votare anche con il porcellum, e che se vince una sinistra condizionabile e ricattabile ideologicamente, allora la Repubblica è salva in nome del populismo maggioritario. Tesi non esenti da autentica cialtroneria, oltre che incoerenti, e rivelatrici di appetiti crudi e insaziabili, che sono poi i compagni inseparabili di ogni Ego, anche costituzionale, troppo espanso.
Bisognerebbe smettere di leggerli, i proclami al curaro di questo amministratore delegato del diritto che parla a nome della parte sabaudo-provinciale della lobby. Ma non si può rinunciare a certi divertimenti, a immaginare l’imbarazzo intellettuale e morale e politico di Scalfari, degli happy few di mondo che a Repubblica sono costretti a farsi rappresentare da una logica tanto faziosa, e dal suo bardo pieno di alterigia.


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