
Pm onnipotenti, politica impotente
Il buonsenso suggerisce di dire, a proposito della storia piena di tormenti dell’Ilva di Taranto, poche cose chiare. Che il magistrato in crociata contro la “logica del profitto” che inquina e uccide è un altro caso di intraprendenza ideologica della magistratura, con un elemento inquietante di fanatismo. Che la bonifica delle aree a caldo della produzione siderurgica si deve fare e si può fare seguendo modelli di successo come quello di Cornigliano, sempre riguardante l’impresa dei Riva, con accordi e scadenze temporali vincolanti ma senza distruggere industria e lavoro.
Leggi L'integrismo giudiziario di Marina Valensise - Leggi Cercasi magistratura "prevedibile"
Il buonsenso suggerisce di dire, a proposito della storia piena di tormenti dell’Ilva di Taranto, poche cose chiare. Che il magistrato in crociata contro la “logica del profitto” che inquina e uccide è un altro caso di intraprendenza ideologica della magistratura, con un elemento inquietante di fanatismo. Che la bonifica delle aree a caldo della produzione siderurgica si deve fare e si può fare seguendo modelli di successo come quello di Cornigliano, sempre riguardante l’impresa dei Riva, con accordi e scadenze temporali vincolanti ma senza distruggere industria e lavoro. Che lo stato di diritto vive in regime di almeno teorica divisione dei poteri e l’iniziativa penale da parte dei pm onnipotenti (il procuratore generale di Taranto è in vacanza in Grecia!) non può prevaricare su responsabilità che sono condivise con l’amministrazione (sanità e ambiente) e con le istituzioni di governo politico della società (regioni, ministri, governo). Che i dati e le ricognizioni sui rischi per la salute di ogni tipo di produzione industriale devono essere vagliati con estrema cura, sono spesso discutibilmente legati a standard di sicurezza e precauzionali che variano con il variare delle culture e dei tempi, e la sacrosanta apprensione per le conseguenze di atti od omissioni in materia non deve implicare di necessità un atteggiamento allarmista o la definizione di ogni problema sotto l’aspetto penale e criminale. Che la questione dell’Ilva si collega a decine di altre situazioni critiche del sistema industriale, e una sua gestione all’insegna dell’integrismo giudiziario (fiat iustitia, pereat mundus) può generare una crisi del lavoro di proporzioni abissali, e la perdita del lavoro e del reddito delle famiglie è collegata alla competitività e alla capacità produttiva delle imprese industriali e manifatturiere (non tutto è appunto risolvibile con la formuletta accusatoria contro la “logica del profitto”).
Ma così si mette a posto la buona coscienza di chi non rinuncia a ragionare a freddo anche delle aree siderurgiche a caldo, però non basta. Il pm di Taranto dice con le sue ordinanze e sentenze, fuori da una possibile mediazione con altre esigenze vitali: io vado avanti con inflessibilità perché i dati sulla salute compromessa della popolazione sono in sé molto allarmanti, perché non esistono soluzioni a scadenza certa in grado di compensare reati penali di tipo ambientale che sono perpetrati ogni giorno, ogni ora, ogni minuto in cui certe produzioni demoliscono gli standard richiesti di salute pubblica, io devo applicare le leggi e devo farlo con la urgenza necessaria a salvare una situazione largamente degenerata e non altrimenti risolvibile. Prima di dare torto in nome del buonsenso all’autorità giudiziaria occorre che esecutivo, amministrazioni, sindacati, Parlamento legislatore, impresa e partiti abbiano le carte perfettamente in regola. Che abbiano alle spalle atti decisivi in favore della bonifica e diano dimostrazione di tenere in pugno una strategia di attacco capace di eliminare quei problemi che effettivamente esistono e tormentano una fabbrica, il suo territorio, il suo ambiente.
Sputare sentenze, anche non giudiziarie, contro una generica politica, contro istituzioni e potere, non è un genere di casa qui, nel Foglio. Il caso della bonifica di Cornigliano, richiamato dal presidente della regione Liguria per i suoi buoni risultati ambientali ed economici, è un argomento che parla a favore della gestione razionale di gravi crisi industriali relative agli effetti insalubri delle produzioni. Ma nel braccio di ferro attuale del governo e di altre pubbliche autorità, dei partiti e dei sindacati, con il pm tarantino e i suoi atti in giudizio (ricordiamoci che l’inchiesta è penale e che lo stato maggiore dell’Ilva è tuttora agli arresti con imputazioni d’indagine da brivido, misura simbolica e punitiva che non depone per una capacità di giudizio equilibrata del pm) si sente un eccesso di chiacchiera politica e sociale. Intendendo per chiacchiera il contrario di una strategia fondata su fatti e scadenze temporali certe. Ministri, capi-partito, sindacalisti e autorità regionali affermano che bisogna “coniugare salute e lavoro”. Troppa grazia. Troppa genericità. Quella “coniugazione” è il contesto storico, antico come la siderurgia, del problema dell’Ilva a Taranto oggi. Se l’equilibrio è andato decisamente gambe all’aria, se i media diffondono notizie e dati da tragedia epidemiologica (che in verità sembra siano vecchi e discutibili, almeno in alcuni casi), se il lavoro sembra debba costare inaccettabili prezzi per la salute fisica di persone, animali, allevamenti, colture, quello è il vizio assurdo di una situazione, quel vizio va rimosso. Le risorse pubbliche per la bonifica sono state stanziate dal governo via decreto, anche ma non solo sull’onda dell’iniziativa penale, e la famiglia imprenditrice, colpita dalla solita serie di attacchi pregiudiziali, sostiene di avere fatto il proprio dovere civile e ambientale compatibile con le esigenze di un’industria che lavora sul mercato molto incasinato e pericolante dell’acciaio; ci sarebbero dunque le condizioni per fare qualcosa di serio, per legittimare in tempi certi una svolta fondata sulla buona volontà quando questa sia suffragata dal rispetto delle leggi da parte di tutti e dalla preoccupazione di salvare lavoro e industria che non può non essere quella di governo e forze sociali. I demagoghi che fanno dell’ambiente una bandiera di salvaguardia assolutista, incuranti dell’industria, potrebbero essere messi a tacere, e con loro potrebbe essere ridimensionata l’iniziativa penale integrista del pm di Taranto. Ma sono ancora in parte solo dei verbi al condizionale, e una pura logica di rinvii alla Corte costituzionale per il conflitto di attribuzione tra poteri, di mobilitazione sociale per il lavoro, di interventismo del governo contro l’atto madornale della chiusura di una fabbrica-città, con conseguenze a catena, non basta. Bisogna che l’esecutivo manovri sul campo con integrità di comando, esprimendo un potere altrettanto saldo di quello che porta i pm a fare della legge uno strumento di governo spesso improprio. Sennò alla fine saranno chiacchiere politiciste contro azzardi giudiziari, non si farà giustizia e non sarà salvo il mondo.
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