
Just go
C’era scritto “accordo tra le parti”, a quanto pare. Se ne era parlato e, parola di banchiere, l’accordo era stato escluso. Il papello è stato trovato nella cassaforte dell’avvocato del patto di sindacato di Mediobanca, il cui ufficio non è una portineria, e, parola di avvocato, alludeva a una comune volontà contrattuale del banchiere e del capofamiglia dei Ligresti. Il papello era firmato Alberto Nagel. Il banchiere, parola di banchiere, aveva negato l’esistenza di un accordo. Registrazioni di conversazioni compromettenti, in uso comune in questa Repubblica delle intercettazioni, dimostrano che i fatti sussistono.
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C’era scritto “accordo tra le parti”, a quanto pare. Se ne era parlato e, parola di banchiere, l’accordo era stato escluso. Il papello è stato trovato nella cassaforte dell’avvocato del patto di sindacato di Mediobanca, il cui ufficio non è una portineria, e, parola di avvocato, alludeva a una comune volontà contrattuale del banchiere e del capofamiglia dei Ligresti. Il papello era firmato Alberto Nagel. Il banchiere, parola di banchiere, aveva negato l’esistenza di un accordo. Registrazioni di conversazioni compromettenti, in uso comune in questa Repubblica delle intercettazioni, dimostrano che i fatti sussistono. All’indagine penale si aggiungono, e rischiano seriamente di allargarsi anche a Unicredit, in un certo senso (non più cucciano) “banca di interesse nazionale”, dubbi di vario ordine, che la Consob ha fissato in un suo documento spifferato (in procura?) a faticoni del giornalismo gossip. Ce n’è abbastanza, in materia di comportamenti anomali di un banchiere alla guida di un’istituzione rispettata, per dire: Just go, Mr. Nagel. Sparisca, ché un simile comportamento sarebbe meglio per lei e per tutti, e soprattutto nell’interesse di azionisti, investitori e risparmiatori.
Nagel invece insiste, si arrabatta, si proclama gran riformatore e, per il paradosso, “nemico dei Ligresti”, e aggiunge alla cazzata fatta e dissimulata una quantità di scemenze avventurose, lasciandosi disegnare addosso a buon prezzo l’immagine di un piccolo cabotaggio politico-finanziario e di una gestione sprezzante del ridicolo. Forse ha ragione Nicola Porro del Giornale, la sua intervista a Repubblica era un “trappolone”, ma chi ha in mano un’istituzione finanziaria cruciale non può cadere in un trappolone sghembo, orchestrato per chissà quali motivi.
Nel regime pattizio della finanza e dell’editoria milanese c’è spazio per finire in una bovazza e salvarsi provvisoriamente dall’annegamento, visto che le solidarietà di casta della galassia si sommano alla scarsa reattività agostana dei soggetti interessati, ma sempre di una bovazza, di una pozzanghera, si tratta. Nagel è un banchiere giovane e rampante, ed è certamente una persona alla quale niente di tragico può essere rimproverato, ma sono tempi in cui lo stile di conduzione di una grande banca d’affari non può essere sfilacciato e impolverato fino ai limiti largamente superati dal suo comportamento di banchiere in chief. Il denaro è una cosa seria, non può circolare ed essere gestito nella disinvoltura e nella scapigliatura, non può stare in una cassaforte tanto facilmente scassinabile, e la deriva mediatica sarebbe solo una triste conclusione di una storiaccia già severamente ipotecata da indagini di tipo amministrativo e penale. Siamo stati garantisti con Antonio Fazio, trascinato in una macchina di gogna vergognosa, lo saremo per Nagel e per chiunque altro. Ma a dimissioni date.
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