La commissione Potemkin

Giulio Meotti

E’ inevitabile che il progetto europeo raggiunga una crisi, così come era inevitabile che il progetto di Lenin del 1917 finisse in quel modo”. A colloquio con il Foglio, Roger Scruton predice la fine dell’Europa così come la conosciamo, portando a esempio l’implosione dell’Unione sovietica. “Prendi la rivoluzione russa, con tutti i disastri che ha scatenato, dalla liquidazione dei kulaki allo stato-gulag, ti chiedi cosa sia andato storto. La risposta è semplice. Abolendo ogni istituzione, Lenin ha distrutto i mezzi con cui correggere gli errori.

    E’ inevitabile che il progetto europeo raggiunga una crisi, così come era inevitabile che il progetto di Lenin del 1917 finisse in quel modo”. A colloquio con il Foglio, Roger Scruton predice la fine dell’Europa così come la conosciamo, portando a esempio l’implosione dell’Unione sovietica. “Prendi la rivoluzione russa, con tutti i disastri che ha scatenato, dalla liquidazione dei kulaki allo stato-gulag, ti chiedi cosa sia andato storto. La risposta è semplice. Abolendo ogni istituzione, Lenin ha distrutto i mezzi con cui correggere gli errori. Il suo partito-stato, governato con piani imposti dall’alto, era una macchina senza programma che non appena è stata messa in movimento è finita fuori controllo. Qualcosa di simile sta succedendo all’Unione europea, sebbene i fini siano meno ignobili e i risultati più benigni”.
    L’errore delle attuali élite europee, di fronte alla crisi della moneta e di Bruxelles, “è dire più Europa e più centralizzazione, quando l’errore è proprio la centralizzazione. Andremo avanti così fino al collasso”.

    Lo scorso aprile Scruton è stato definito dal Wall Street Journal “il filosofo più famoso d’Inghilterra”. Fra i polemisti britannici più noti al mondo, docente a Oxford e alla St. Andrews, fondatore della Salisbury Review (la più prestigiosa rivista del conservatorismo inglese), autore di trenta libri fra cui “The Meaning of Conservatism” (la bibbia della rivoluzione di Margaret Thatcher), Roger Scruton sta vivendo una vendetta culturale personale con la crisi dell’euro e del progetto europeo. Per anni è stato infatti uno dei pochi filosofi a ripetere che Bruxelles sarebbe andata incontro a una crisi dalle conseguenze epidemiche.
    Secondo Scruton, la crisi dell’euro è la sentina di un terremoto ben più profondo.

    “La crisi europea è nata per due ragioni”, ci dice Scruton. “C’era un piano originale per creare gli stati uniti d’Europa. Ma questo progetto è stato concepito senza un ‘piano B’. Era come doveroso raggiungerlo e non sono state fatte neppure delle previsioni in caso di fallimento, o per un cambiamento di direzione. La macchina non poteva fare aggiustamenti alla realtà. Secondo, il progetto è stato affidato a una burocrazia con straordinari poteri legislativi e amministrativi. Coloro che dovevano portare avanti il progetto non erano né eletti né giudicabili dai rispettivi popoli. Andranno avanti a velocità uniforme, fino a che non avranno trovato un ostacolo inamovibile. Allora tutto sarà finito, ma il danno sarà enorme. La crisi attuale ci ha fatto capire che quando le cose vanno male i politici ci chiedono sacrifici e si aspettano che li facciamo. Ma come è possibile sacrificarsi se non esiste un sentimento di appartenenza? Per questo dico che è inevitabile che il progetto europeo faccia la fine di quello di Lenin”.

    E’ la celebre domanda del poeta latino Terenzio Afro: “Quis custodiet ipsos custodes?”. Chi farà la guardia ai guardiani? E’ la questione nazionale della legittimazione politica e della sovranità.
    Poi ci sono le cause del fallimento.
    “Come tutti sanno esiste un deficit spaventoso di legittimità delle istituzioni europee. Queste istituzioni hanno fatto appello alla popolazione tramite i loro rappresentanti, ma quando alla gente è stato dato il diritto di votare, l’Europa ha detto di ‘no’ al progetto. Ma il progetto è continuato come prima, senza essere scalfito da questo ‘no’. Così la popolazione ha tratto le proprie conclusioni, e gradualmente ha ritirato la propria fiducia. L’integrazione è stata concepita in termini monodimensionali, come un processo verso un’unità sempre maggiore guidato da una struttura di comando centrale. A ogni aumento del potere centrale doveva corrispondere una diminuzione del potere nazionale. Il processo va avanti verso la centralizzazione, il controllo dall’alto verso il basso, la dittatura di burocrati e giudici non eletti, la cancellazione delle leggi approvate da parlamenti rappresentativi, i trattati costituzionali siglati senza il minimo input da parte del popolo e una moneta imposta e associata a un pesante debito che non si sa bene chi dovrà sostenere”.

    In altre parole, il processo politico europeo è stato indirizzato fin dall’inizio. Ma questa impostazione non è stata decisa dai popoli d’Europa. Al contrario, ogni volta che ne hanno l’occasione gli europei la rifiutano nettamente.
    “E’ per questo che qualcuno fa di tutto per impedire che abbiano la possibilità di votare. Sono stati compiuti numerosi sforzi per creare una specie di ‘simil-democrazia’, in cui un Parlamento Potemkin simula di prendere in esame la legislazione e simula di esercitare il proprio diritto di veto sulla stessa, ma nella quale, in realtà, nessuna nazione all’interno dell’Unione può far valere il proprio potere di veto. Le nostre élite hanno voltato le spalle al cristianesimo, apparentemente inconsapevoli della misura in cui il popolo europeo ancora dipende dalla sua guida morale e spirituale. La sovranità ci è stata confiscata e non sappiamo più con certezza quanto siano salde le fonti del diritto, né perché gli dobbiamo obbedienza. E anche l’eredità dell’Illuminismo è a rischio, con il diffondersi per il continente di leggi che impediscono di esprimere la propria appartenenza religiosa o nazionale. La libertà di parola non è più tutelata dalle accuse di ‘islamofobia’ o ‘xenofobia’, e in molti luoghi d’Europa non si può mettere in dubbio senza esporsi a rischio l’idea fasulla di ‘società multiculturale’. Ai suoi paladini la ‘correttezza politica’ sembra essere la più tollerante delle fedi. Ma tolleranza significa accettare quanto si disapprova, e questa è una virtù che sembra scomparire dall’Europa, mentre le ortodossie sono programmate dal sistema giudiziario”.

    Coloro che hanno concepito i trattati di Maastricht e di Lisbona erano consapevoli della perdita di credibilità europea di fronte ai propri cittadini. “Tuttavia, erano membri di una nuova classe politica transnazionale, ben retribuita nella vita professionale e dipendente dagli apparati europei per i propri privilegi. Tale classe politica forma parte dell’economia globale. Si relaziona con maggiore facilità con il settore delle aziende multinazionali che con le collettività locali, intrattiene rapporti con le élite di altri luoghi e ricopre senza attriti gli incarichi artificiali creati all’interno dell’Ue”.

    Un tipico esempio di tale classe europea è il nuovo ministro degli Esteri, la baronessa Ashton. “Nessuno in Gran Bretagna sapeva chi fosse quando fu annunciata la sua nomina. Non è mai stata eletta a nessuna delle cariche che ha occupato, è arrivata alla Camera dei Lord tramite il Partito laburista e la rete di ong senza attirare l’attenzione su di sé, ed è stata nominata come nostra rappresentante per gli Affari esteri senza che nessuno nel mio paese, eccetto i suoi amici membri della nuova classe politica, abbia potuto esprimere la propria opinione in merito”.
    Poi c’è la causa cultural-ideologica. “Ovvero il fallimento totale dell’élite politica europea nel considerare la cultura dell’Europa. La cultura europea si fonda nella rivelazione giudaico-cristiana, e le nostre leggi, le nostre istituzioni e tradizioni educative sono incomprensibili senza riferimenti alle lezioni contenute nella Bibbia. La cultura europea però è anche una cultura laica, secolarizzata, basata sulla fedeltà territoriale di tipo nazionale. Entrambe le fonti religiose e nazionali della nostra cultura sono state ripudiate dall’élite europea, che crede che la cultura non abbia alcun valore, ma obbedisce soltanto a imperativi economici. Chi ha inventato l’euro e ce lo ha imposto ha fallito nel comprendere che l’atteggiamento delle popolazioni nei confronti del debito pubblico è profondamente influenzato dalla cultura, così che il popolo greco è del tutto differente al riguardo dal popolo tedesco e da quello italiano. La classe politica europea mette in atto regolarmente una sorta di liturgia della denuncia, disprezzando i sentimenti locali da cui in realtà dipende. La maggior parte di noi vede le migliaia di direttive irreversibili emanate dalla Commissione europea, le sentenze a motivazione ideologica della Corte europea dei diritti dell’uomo per far rimuovere i crocefissi dalle aule scolastiche come una minaccia alla democrazia. Ma sembra non esserci modo di riformare tali istituzioni in modo da evitare il problema. Senza che nessuno lo volesse, noi europei siamo arrivati alla situazione in cui la maggior parte delle nostre leggi ci vengono imposte da persone che non sono mai state elette e che non si assumono la responsabilità dei propri errori. Alcuni sono disposti a convivere con il problema, ritenendo che i benefici dell’Unione europea superino i costi. Altri – in particolar modo gli ‘euroscettici’ – credono che i costi superino i benefici. Per loro, questa confisca del potere decisionale da parte di élite non elette è un difetto esiziale del progetto europeo. Lo spostamento verso una governance globale è un movimento che ci allontana dalla democrazia. E’ la differenza tra la common law tradition e la roman law tradition, tra una cultura che si fonda sullo spirito d’iniziativa e un’altra sul controllo dello stato, tra l’individualismo pronto a correre rischi e un attivismo collettivistico”.
    Scruton dice che l’Europa deve far suo “il patriottismo repubblicano di Machiavelli, Montesquieu e Mill”, una forma di lealtà nazionale “non patologica come il nazionalismo, bensì un amore naturale per il paese, per i connazionali e per la cultura che li accomuna”.

    E fornisce un’immagine di questa crisi europea: la fine di Bruxelles. “Gli Alleati hanno evitato che la città venisse bombardata durante la guerra, perché doveva essere il luogo della parata della vittoria e il simbolo della rinascita europea. Tuttavia, le istituzioni europee hanno colonizzato la città, distrutto la sua bellezza e dignità, sfigurandola con blocchi di edifici di cemento e vetro, simboli del vuoto morale che c’è dentro. Quando il progetto europeo fallirà, la città tornerà alle Fiandre, ma sarà una città senz’anima”.

    Non a caso, continua Scruton, Bruxelles è una città sempre più islamizzata. Nelle scuole della capitale europea, l’insegnamento della religione musulmana ha superato per numero di studenti quello della religione cattolica. Lo ha rivelato, lo scorso inverno, un’indagine del Crisp, il “Centro di ricerca e informazione sociopolitica”. Per chi pretende poi altri dati scientifici, Felice Dassetto, professore emerito dell’Università cattolica di Lovanio, ha appena pubblicato una ricerca dal titolo “L’iris e la mezzaluna”, dove la previsione di una maggioranza islamica appare come certa. Il titolo fa riferimento al giaggiolo, fiore simbolo della regione di Bruxelles, mentre la mezzaluna ovviamente allude all’islam. Se il primo sfiorisce, la seconda è in fase crescente. Si parla di una maggioranza islamica a Bruxelles per il 2030. Scruton parla di “oicofobia” come sentimento opposto alla xenofobia, ovvero il ripudio della propria identità, “risultato di un particolare stato d’animo che si è sviluppato nel mondo occidentale a partire dalla Seconda guerra mondiale e che prevale tra le élite intellettuali e politiche. Il progetto europeo è la creazione di una élite intellettuale, la reazione post bellica contro il nazismo e così via. Una élite che ha lavorato in segreto, formata da personaggi come Jean Monnet e Alexandre Kojève, che si è poi scoperto essere un agente del Kgb. Questa élite pensava di non appartenere a nessun luogo, hanno fondato l’Europa sulla non-appartenenza. Kojeve ha influenzato una generazione di intellettuali francesi con la sua lettura della ‘Fenomenologia dello Spirito’ di Hegel, ha promosso il governo transazionale contro lo stato-nazione e ha svolto un ruolo decisivo nella creazione della Comunità economica europea. Secondo Kojève, i confini nazionali e le comunità sarebbero scomparse e un blando democratico capitalismo si sarebbe diffuso come un fungo. Una tesi codificata per il futuro dell’Europa”.

    Così oggi le “élite mediatiche” insegnano “la storia nazionale come vergogna e decadenza”. Scruton attacca i “burocrati irresponsabili a Bruxelles” e i giudici di Strasburgo “che si considerano più giusti e virtuosi degli altri”. “L’Europa sta attraversando una fase di ‘ripudio’”, e questo apre la porta al fondamentalismo islamico per il tramite di un multiculturalismo impazzito.

    Dice infine il filosofo inglese: “Il vuoto che sta crescendo nel cuore dell’Europa è un fenomeno spirituale e non c’è dubbio che demograficamente l’islam abbia la possibilità di riempirlo. Ma non dobbiamo dimenticare che, nonostante la debolezza della fede cristiana, i popoli europei restano fedeli al governo laico e alla rule of law, e non accetteranno il tipo di ‘legge divina’ che è alla base della fede musulmana. Credo quindi che l’islam non sarà in grado di imporsi in modo formale in Europa e a un certo punto le persone si sveglieranno rispetto a quanto sta accadendo, e destituendo l’Unione europea si rimpossesseranno della propria identità nazionale e della memoria culturale.
    Almeno, questa è la mia speranza”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.