
Marx e Lenin attraverso il tiggì
Riparto da dove finisce Alfonso Berardinelli nell’articolo qui sopra, indipendentemente da lui e senza sovrapposizioni. Il quotidiano comunista pubblicava ieri un appello incredibile, almeno quanto furono incredibili certe motivazioni del comunismo in età adulta del mondo di fine Novecento. Burgio, Dogliani, Gianni Ferrara, Gallino, Lunghini, Mastropaolo, Guido Rossi (lui!?), Parlato denunciano un furto di informazione: i maggiori mezzi di informazione si comportano come se la lotta di classe fosse finita, non spiegano che le politiche in ballo nella crisi finanziaria corrispondono a scelte di interesse, che dietro gli atti di mercato e le risposte statali e finanziarie c’è il disegno di impoverire e asservire i popoli per foraggiare profitti e diseguaglianze.
Riparto da dove finisce Alfonso Berardinelli nell’articolo qui sopra, indipendentemente da lui e senza sovrapposizioni. Il quotidiano comunista pubblicava ieri un appello incredibile, almeno quanto furono incredibili certe motivazioni del comunismo in età adulta del mondo di fine Novecento. Burgio, Dogliani, Gianni Ferrara, Gallino, Lunghini, Mastropaolo, Guido Rossi (lui!?), Parlato denunciano un furto di informazione: i maggiori mezzi di informazione si comportano come se la lotta di classe fosse finita, non spiegano che le politiche in ballo nella crisi finanziaria corrispondono a scelte di interesse, che dietro gli atti di mercato e le risposte statali e finanziarie c’è il disegno di impoverire e asservire i popoli per foraggiare profitti e diseguaglianze, e le più alte cariche della Repubblica, alle quali la Costituzione attribuisce doveri di garanzia e imparzialità, dovrebbero ripristinare la verità di classe, imponendo che emergano le tendenze a una redistribuzione del potere e della ricchezza a favore della speculazione finanziaria e dei ceti più abbienti. Ridateci il marxismo-leninismo, subito dopo la sigla del Tg. Viene dopo il tiggì, e poi si ferma lì.
Se vogliamo lasciare da parte il tono burlesco di una polemica, che però si impone di primo acchito, riflettiamo pacatamente. E’ vero che vige una sorta di pensiero unico informativo, quello che qui al Foglio chiamiamo da anni il Giornalista Collettivo. La Direzione Unica delle Coscienze si fa largo su vari temi a tutte l’ore: la mafia, l’aborto, i diritti del corpo delle donne intesi come doveristica etica neopuritana, le diete, la differenziata, civismi degeneri e insostenibili da una società vitale, sofistica in materia di sesso e ginnastiche varie, religione e fede, sotterranei del Vaticano, Berlusconi, la joie de lire e l’impollinazione culturale a effetto serra, Grillo e la corruzione della politica sporca. Anche in ambito finanziario ed economico accade lo stesso? Sì, certo. E ne siamo consapevoli.
Alla dodicesima intemerata pro mercato, alla tredicesima variante pro finanza & riforme strutturali, al quattordicesimo attacco contro i concertativi & corporativi, ecco che sentiamo il disperato bisogno di un articolo di Guido Viale o di un economista di Modena o dell’università del Sannio, e così procediamo, discutiamo, pubblichiamo, commentiamo eccetera. Le Autorità Civili tenute all’imparzialità, almeno in certi giorni, non possono che essere fiere di noi, devono additarci a modello (sulle 24 ore). Eppoi compensiamo sempre il nostro ideologico, dogmatico post classismo con sfrenati attacchi, ogni volta che sia possibile (ed è quasi sempre possibile), all’avida pigrizia particolaristica di Confindustria, alle mene sotterranee di un establishment che non ci sembra mai all’altezza nemmeno delle sue vanità. Ma la particolarità di questo giornale, metodologicamente liberale e un po’ anarchico insurrezionalista, è di essere diretto da un ex comunista fattosi anticomunista, e nutrito da menti aperte di provenienza molto diversa e talvolta anche eccentrica.
Non conosco l’itinerario personale dei firmatari del singolare appello, a parte Valentino Parlato, comunista finché lo radiammo dal partito (non oltre), e Guido Rossi, persona molto rispettabile ma che con il comunismo e la lotta di classe c’entra come con la Federcalcio e la Telecom, di cui fu ammirato presidente.
L’impressione, per tornare alla conclusione di Berardinelli, è che un certo comunismo moraleggiante e predicatorio, oggi piuttosto diffuso tra i ceti medi riflessivi e affluenti dell’opposizione ideologica allo “stato di cose presente”, sia in realtà un pezzo dell’ideologia italiana, e della più comoda. Altre culture hanno fatto la fatica di capire i cambiamenti del mondo, che non sono stati esattamente a favore della lotta di classe, per di più quando spiegata al popolo dalle news nazionali: sono le culture confuciane, protestanti e cattolico-liberali che ragionano su eguaglianza e libertà senza necessariamente perdere in lucidità. Alcune crescono, altre sono in recessione, ma senza di loro non si fa il pil.


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