Bestialità guatemalteche

Giuliano Ferrara

Anni di indagini accanite e vuote a partire dal capo di imputazione, stratagemmi giudiziari per la eternizzazione della colpa detti “sistemi criminali”, vanitosa mediatizzazione degli assunti, assalto simbolico al Quirinale: ecco le nove pagine in cui si inchioda lo stato per aver trattato con i boss della mafia. Non le abbiamo ancora lette, ma è come se le avessimo lette visto che concludono un'inchiesta pubblicizzata da interviste e processi bestiali, e ci torneremo sopra dopo la delibazione dell'atto.

    Anni di indagini accanite e vuote a partire dal capo di imputazione, stratagemmi giudiziari per la eternizzazione della colpa detti “sistemi criminali”, vanitosa mediatizzazione degli assunti, assalto simbolico al Quirinale: ecco le nove pagine in cui si inchioda lo stato per aver trattato con i boss della mafia. Non le abbiamo ancora lette, ma è come se le avessimo lette visto che concludono un’inchiesta pubblicizzata da interviste e processi bestiali, e ci torneremo sopra dopo la delibazione dell’atto. Un politico siciliano già vittima della più corrucciata e cattiva antimafia, il perseguitato e assolto Calogero Mannino, si sarebbe mosso per arginare la foga assassina dei corleonesi dopo l’uccisione di Salvo Lima (1992). Generali dei carabinieri che finiscono con il busto al Pincio nei paesi normali, infatti catturarono Riina e molti altri, e proprio nel culmine della cosiddetta trattativa, descritta omeopaticamente come “attentato a organi della Repubblica”, seguono nella lista degli imputabili.

    Poi c’è l’ovvio gruzzolo mediatico-giudiziario dei capi della mafia, associati per la bisogna a un ex ministro dell’Interno (Nicola Mancino) accusato di aver detto il falso al pm in complicità con i trattativisti, malgrado abbia agito contro la mafia in Parlamento e nell’esecutivo in modo inoppugnabile, e di un ex ministro della Giustizia (Giovanni Conso), il cui prestigio personale consiglia ai prudenti pm uno stralcio insabbiatore (eppure è l’unico vero accusabile di un atto di sovranità sulla gestione dei carcerati mafiosi). Dulcis in fundo, e ti pareva, Silvio e Marina Berlusconi più il solito Marcello Dell’Utri, “follow the money”, che arrivano al governo nel 1994, a cose fatte e finite, e subito si mettono a chattare con Cosa Nostra per difendere loschi interessi aziendal-repubblicani. Borsellino due anni prima seppe, e venne ucciso per questo dallo stato-mafia. Massimo Ciancimino sapeva, e con il dottore Ingroia fece l’icona da Santoro per denunciare il tutto e alimentare l’indagine; ma è imputato anche lui, kafkianamente, con un’accusa di calunnia che è stata preventivamente dimostrata come possibile in pubblico processo dal generale Mario Mori, il capo dei felloni che vendettero lo stato alla mafia. Il procuratore capo timbra ma non firma. Un pm lascia il pool e dissente. L’intendenza segue. Una provocazione e un biglietto di andata per Città del Guatemala. Un obbrobrio.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.