
Monti deve fare come le formiche
Il passo felpato, realista, è poco eccitante ma utile in politica e in diplomazia. Ora però è questione di risultati: senza risultati non si risana l’economia, non si cura la crisi finanziaria altro che con la spirale recessiva, che la aggrava al solo vantaggio egemonico della Germania, e allora a che serve la tecnocrazia al governo? Se è vero che la Merkel è in un senso strategico mandataria del governo tecnico, ha dei doveri di cooperazione che non può disattendere.
Il passo felpato, realista, è poco eccitante ma utile in politica e in diplomazia. Ora però è questione di risultati: senza risultati non si risana l’economia, non si cura la crisi finanziaria altro che con la spirale recessiva, che la aggrava al solo vantaggio egemonico della Germania, e allora a che serve la tecnocrazia al governo? Se è vero che la Merkel è in un senso strategico mandataria del governo tecnico, ha dei doveri di cooperazione che non può disattendere. In questo senso la provocazione del Financial Times, che critichiamo sopra, ha un suo sapore dispettoso e un po’ maligno. E’ vero che non tutto quanto suggerito dalla Banca centrale di Francoforte un anno fa è stato fatto, come ha rudemente ricordato Antonio Polito nel Corriere, e i compiti a casa, come gli esami di Eduardo De Filippo, non finiscono mai. E’ anche vero che qualche misura per temperare l’emergenza è stata consentita a Mario Draghi, sempre nel settore della protezione del risparmio bancario. Ma come ripetiamo da molti mesi chi ha una banca centrale a difesa della propria moneta raccoglie denaro al due per cento, anche se abbia un debito doppio del nostro, come il Giappone, o condizioni di fragilità debitoria pubblica e privata paragonabili. Ma ai progressi nel mettere in comune la sovranità fiscale, sia quelli pattizi sia quelli della costituzione materiale europea, comunque li si voglia giudicare, non corrispondono sforzi significativi per mettere in comune non si dica ancora il debito, ma almeno la capacità di arginare la tendenza di mercato a punirlo con tassi di interesse strettamente legati alla politica di chiusura all’espansione monetaria “di ultima istanza” della banca di Francoforte e al timore di inflazione.
I socialdemocratici tedeschi sono divisi da altre componenti del socialismo europeo sulla questione, e divisi tra loro. I popolari fanno ciascuno per sé. Montano le opinioni pubbliche in rivolta contro una moneta che sta diventando rapidamente il simbolo della miseria, dopo essere stata la prospettiva di una nuova e salutare prosperità comune, almeno nelle retoriche d’accompagnamento della sua instaurazione come pegno unico di pace e convergenza in Europa. L’autorevole e insospettabile Spiegel ha ricordato alla Merkel che la Germania non ha solo le sue catene mediterranee da perdere, ha anche molti guadagni da rimettere in discussione se si verifichi una situazione di scissione e di ritorno alle politiche nazionali di controllo del fisco e della moneta tra i suoi partner. Ora tocca al premier italiano, che proprio per essere l’insider di ultima istanza in Europa, e una persona seria che ha fatto quel che ha potuto in un paese chiave, deve nel suo piccolo fare come le formiche: incazzarsi e portare a casa risultati pesanti.


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