Lo stallo di Monti e dei partiti

Giuliano Ferrara

La seconda carica dello Stato che fa politica e parla come più schietto non si può (vedi la lettera al Foglio qui) è fenomeno irrituale, uno scandalo in condizioni normali. Ma siamo nell’anomalia più assoluta, abbiamo un governo del presidente, cioè del Quirinale, composto di tecnocrati non eletti ai quali è appeso il futuro della crisi nell’emergenza europea e mondiale; la Presidenza della Camera è un caso politico-partitico da oltre due anni; e abbiamo una maggioranza tripartita che si prepara a diventare un guazzabuglio di conflitti alla cieca.

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    La seconda carica dello Stato che fa politica e parla come più schietto non si può (vedi la lettera al Foglio qui) è fenomeno irrituale, uno scandalo in condizioni normali. Ma siamo nell’anomalia più assoluta, abbiamo un governo del presidente, cioè del Quirinale, composto di tecnocrati non eletti ai quali è appeso il futuro della crisi nell’emergenza europea e mondiale; la Presidenza della Camera è un caso politico-partitico da oltre due anni; e abbiamo una maggioranza tripartita che si prepara a diventare un guazzabuglio di conflitti alla cieca, sebbene sappia trovare gli accordi di gestione sulle Autorità di garanzia con sospetta capacità di reciproca retribuzione (sospetta perché priva di un quadro politico di responsabilità nazionale: accordi d’influenza senza una cornice politica che li giustifichi o almeno ne spieghi il significato). Così è chiaro che il testo di Renato Schifani è una novità politica, e di notevole rilievo, non un’infrazione a regole che sono superate dalla prassi e dalle circostanze.
    Renato Schifani esprime un concetto che i lettori del Foglio conoscono: Monti è stato scelto (da adulti consenzienti, aggiungiamo noi) per fronteggiare l’emergenza, l’emergenza è una faccenda non risolvibile nel breve termine, e il partito di Berlusconi, che aveva vinto le elezioni ma ha perso la partita del governo, senza che l’opposizione l’abbia vinta, deve agire in conseguenza di questa scelta strategica, non può fare due o tre parti in commedia. Il problema è che a queste ragionevoli e serie conclusioni si arriva con un certo ritardo, e il governo Monti rischia di impantanarsi e di diventare la negazione di sé stesso, un esecutivo in balia di alterni umori dei partiti, messo in sapiente burla da un sistema mediatico che non perdona e che si vale in ogni campo della sua spalla giudiziaria per perseguire fini politici non dichiarati, con il fiancheggiamento rumoroso e intimidatorio della campagna antipolitica. 

    Il movimento dei partiti è quello che i francesi chiamano un piétiner sur place, in realtà maschera lo stallo. Tutti cercano la migliore situazione di convenienza per salvarsi o per vincere a spese dell’avversario, il che farebbe anche parte delle regole realistiche del gioco politico, ma lo fanno nella totale incuranza per la realtà delle cose: questo sistema non può essere governato in una simile crisi finanziaria, economica e sociale senza un quadro di corresponsabilità istituzionale di cui il governo Monti è la testimonianza e il pegno anche in Europa e nel mondo. La sinistra o il centrosinistra potrebbero rivendicare il proprio turno al governo, sicuri di essere rimasti in piedi tra le macerie della parte avversa, se avessero uno schema di alleanze convincente. In realtà tutti sono assoggettati all’affannosa corsa alla lista cosiddetta civica, cioè al lobbismo demagogico più spudorato, in un ballo in cui ci si propone oggi come maggioranza tripartita che si vergogna di sé, e domani come nuova legittimazione e garanzia battesimale di una maggioranza che non sarà tale, come sa chiunque esamini la politica concreta dei Vendola, dei Di Pietro  e del partito-giornale Repubblica che si candida all’Opa, non più alla sola eterodirezione, sul Partito democratico. Per quanto riguarda il partito di Berlusconi, il Pdl, è in un vicolo cieco. Il suo peso parlamentare enorme è speso per sostenere il governo Monti, ma in modo sempre più ondivago e contraddittorio, e sale, con la sorniona complicità del Cav., la febbre di una compartecipazione elettorale ai dividendi dell’antipolitica, nella versione già nota, e incrinata dall’esperienza, del populismo democratico old fashion. Su questi temi Schifani ha scritto nella sua lettera parole decisive, che se messe a lato e considerate irrilevanti porterebbero il Pdl alla negazione del suo passato, del suo presente  e di ogni suo possibile futuro. Mentre serve una impegnativa discussione politica, alla quale direttamente Berlusconi e Alfano dovrebbero contribuire con un certo ordine, una certa ragionevolezza e una certa severità nell’escludere il ritorno al caos più o meno creativo. Se questo non accadrà, allo stallo del centrosinistra, mascherato di vittorioso attivismo, farà riscontro una involuzione poderosa, in parte già in atto, del centrodestra italiano, con il sacrificio di ogni sua prospettiva sia di governo sia di opposizione qualificata.
    In tutto questo è da domandarsi se il governo Monti riuscirà a superare l’impasse, segnalata con qualche asprezza accademica da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi nel Corriere di ieri. La cosa è interessante e rilevante per chiunque abbia in tasca monete espresse in euro, cioè per la totalità degli italiani esposti alla crisi del lavoro, all’esclusione dei giovani, al disastro dello sviluppo e della produttività, e in una parola alla crisi generale che approfondisce e avvita a spirale una tempesta finanziaria europea e mondiale non governata. Insomma un cataclisma che avvicina il progetto europeo di sessant’anni alla possibilità borderline di un tragico e finale esaurimento, e non sono noccioline del Brasile.
    Da quando Monti si è messo a fare politica, con i partiti e le parti sociali, la politica ha cominciato a mangiarsi il nucleo stesso della sua esperienza e della sua legittimazione dall’alto. Ma questo senza offrire alternative chiare o legittimazioni dal basso di soluzioni ad esso paragonabili in termini di fattività e operatività nello scenario domestico e internazionale. Monti era la rottura delle vecchie regole del gioco, nel bene e nel male, con un deficit evidente di democrazia e, per dir così, di popolo, ma con una missione a tempo che è risultata di eccezionale spessore. Si è sempre troppo severi in Italia con i governi, da Prodi a Berlusconi a Monti, perché nella nostra cupidigia di servilismo il primo e vero padrone è l’immagine che ci facciamo dell’opinione pubblica volatile e in perenne rivolta, ma Monti si dia una mossa o il 2013 sarà una data da incubo. 

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.