
Se la vita pubblica diventa un inferno di volgarità
Un po’ li capisco, quelli tra i leader politici che non sono andati alla parata. E’ un periodaccio. Sei sempre spiato, fotografato, messo in burla in modo non solo posticcio ma triviale. La vita pubblica è diventata un inferno di volgarità. La caduta dello stile repubblicano, e di quello che lo accompagna anche a livelli meno rilevanti, è vertiginosa. Perfino la presentazione di un libro, il convegnuccio, generi obbrobriosi di per sé ma in fondo innocenti privatezze promozionali, diventano occasione di cinguettio, di starnazzo.
Un po’ li capisco, quelli tra i leader politici che non sono andati alla parata. E’ un periodaccio. Sei sempre spiato, fotografato, messo in burla in modo non solo posticcio ma triviale. La vita pubblica è diventata un inferno di volgarità. La caduta dello stile repubblicano, e di quello che lo accompagna anche a livelli meno rilevanti, è vertiginosa. Perfino la presentazione di un libro, il convegnuccio, generi obbrobriosi di per sé ma in fondo innocenti privatezze promozionali, diventano occasione di cinguettio, di starnazzo, di consumo e corrosione della decenza, l’album demenziale o il portfolio del pettegolezzo, della ciarla, della negazione più elementare del diritto all’immagine. A diventare un burattino, ma senza la dignità letteraria di Pinocchio, ci vuole un attimo. Un pupo nelle mani di chi tira i fili mediatici, basta un nanosecondo.
Un po’ li capisco, uno vorrebbe rintanarsi nel casino italiano, ricavarsi uno spazio inattaccabile, essere criticato e attaccato per le proprie idee, per i comportamenti, non essere triturato a cazzo di cane. Ancora qualche anno fa sulla mia barchetta sono andato in Corsica con Gad Lerner e la sua deliziosa moglie, poi una puntata a Porto Cervo, con foto cretine di doccia sul pontile per un qualche rotocalco, cose psicologicamente irrilevanti che non inquinano una settimana di ferie tra amici, pesce e patatine fritte. Mai più lo farei adesso. Avete presente i tuffi sardi di Formigoni, la passeggiatina in spiaggia in quell’inferno travestito da paradiso che sono i Caraibi (mai stato, lo giuro, lo giuro, lo giuro)? E che, vuoi finire in sospetto di altarino privato, essere equivocato? Dove sei? Perché ci sei? Con chi sei? Che fai? Chi paga? Quanto si paga? L’inquisizione è sempre sordida, ma carnascialesca, stupida, ciacolona, anche.
Il clima è da monastero con biblioteca, o da fuga per mare ma in zone a prova di cazzari e tartufi con grandangolo, e tutto il resto è noia, come cantava Califano. E’ in atto una specie di rieducazione collettiva all’ipocrisia, un impiccionismo detestabile al quale alla fine si è costretti a partecipare, il web e i giornali sono spietati, anche se passeggi a Central Park o a Parigi fuori stagione qualcuno ti becca, e se è tutto normale, un terzetto di cagnette, la mogliettina che ti aspetta, gli amici al bistrò, robe decenti di vite piccolo borghesi senza importanza, però insomma che fai, perché sei lì, sulla pubblica strada, sulla pubblica piazza, e come sei vestito eccetera? Bisognerebbe fregarsene. E un po’ me ne frego. E certo per il 2 giugno è un altro discorso, mica vacanzine e chiacchiere tra vecchi amici. Uno che ti contesta la partecipazione alla celebrazione della Repubblica lo si dovrebbe schiaffeggiare. Per motivi semplici, ovvii. Il milite ignoto. Le forze armate. I corpi volontari. Il senso ordinato di un vivere civile istituzionalmente tutelato, e ricordato una volta l’anno in un’occasione costituzionale. Ma che vuoi fare. Azzardati a toccare una tartina e a metterla tra i denti, bevi uno sciampagnino e accenna un sorriso, vedrai come faranno di te un pescecane della casta, come ti marchieranno a fuoco in mezzo alle immagini del terremoto, gli sciacalletti della solita parrocchietta moralista. Moretti diceva che uno finisce con il suo nome stampato su un settimanale, ed è rovinato per la vita. Ma annegare in un portfolio di caviglie, calzini, tacchi, cravatte e signore sbaciucchiate, vi rendete conto? Sono progressi.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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