Gustarsi la vendetta contro Sarkò

Giuliano Ferrara

Quando è gratuita e si sottomette a una scelta democratica, la vendetta è una forma di giu­stizia. Spero che Sarkozy le prenda da Hol­lande perché non ho mai accettato la violazione de­risoria dell'amicizia con l'Italia espressa con una mimica plateale in faccia al mondo (e a me), una re­cita di grana grossa, sprezzan­te, offensiva, che solo la debo­lezza politica del governo, di Berlusconi, del Quirinale, e la sciatta compiacenza delle op­posizioni ha lasciato senza se­rie conseguenze diplomati­che, civili e culturali.

    Pubblichiamo il commento di Giuliano Ferrara apparso sul Giornale di domenica 6 maggio 2012.

    Quando è gratuita e si sottomette a una scelta democratica, la vendetta è una forma di giu­stizia. Spero che Sarkozy le prenda da Hol­lande perché non ho mai accettato la violazione de­risoria dell'amicizia con l'Italia espressa con una mimica plateale in faccia al mondo (e a me), una re­cita di grana grossa, sprezzan­te, offensiva, che solo la debo­lezza politica del governo, di Berlusconi, del Quirinale, e la sciatta compiacenza delle op­posizioni ha lasciato senza se­rie conseguenze diplomati­che, civili e culturali. Tutte le gaffe del mio governo non sono paragonabili a quel­l’at­to calcolato di viltà e di cattiveria politica e perso­nale. Un comportamento direttoriale da padrone dell'Europa, un gesto di falso paternalismo, un col­po sotto la cintola indegno di un uomo di Stato. Poi c’è la delusione politica. L’esuberanza di Sarkozy poteva essere una risorsa e perfino una riforma dell'ingessa­tura pomposa della Quinta Re­pubblica gaullista e mitterrandia­na. Si era dapprima espressa in un’ambizione onorata con tempi­smo, calcolo sapiente, idee e pro­grammi. Sarkozy aveva messo in opera un capolavoro politico di­staccandosi dalla presidenza de­clinante di Chirac, isolato e impo­polare dopo l­a cavalcata antiame­ricana sull’Irak e una sequela di er­rori domestici presuntuosi, e lo aveva fatto al momento giusto e su una linea giusta. Fu un grande can­didato, la sua lezione sulla via al potere non poteva essere più elo­quente. Rischiò, fu coraggioso, puntò tutte le sue carte su una vi­sione della Francia alternativa a quella delle vecchie barbe di regi­me, e spiazzò la sinistra socialista con l’apertura mentale, e una po­tente ricapitolazione non faziosa della storia del Paese, delle sue ra­dici, delle sue diverse eredità.

    Ma alla fine erano discorsi, glie­li scriveva Henri Guaino, e Sarkozy li capiva con la testa ma non li rispettava con il suo insop­portabile carattere. Ed è il caratte­re che in politica decide, lo hanno detto in tanti compreso Mitter­rand, non l'intelligenza solitaria. Erano consigli politici, una mate­ria effimera senza un Principe ca­pace di assimilarli, di farli suoi, di incorporarli quando li apprezza e li sa giudicare nel loro vero valore. L’appello a lavorare a guadagnare a investire a scrollarsi di dosso la cultura protettiva venuta dagli an­ni Sessanta, a essere un po’ più americani in Europa, a farsi da sé un proprio mondo individuale in­dipendente dalle tutele sindacali e ideologiche, compresa la ricon­siderazione del posto della religio­ne nella vita pubblica, era affasci­nante e spericolato, portava con sé una rete di significati politici e civili di autentica novità. Ma si è ri­velato un'illusione o un inganno. Tutto è finito con un’impresina ne­ocoloniale sanguinaria, la oscena guerra di Libia scattata su sugge­stione degli intellettuali della rive gauche , condotta con l'occhio alla campagna elettorale imminente, nutrita da interessi strategici anti­italiani. Tutto è finito con i cantie­ri riformatori mai aperti oppure aperti e spencolati sul vuoto della promessa mancata. Ma lo stile, ahimè, lo stile che è l’uomo.Berlusconi con tuttii suoi errori balzani, mattocchi, ha sem­pr­e espresso uno stile libero di uo­mo privato, sapevamo chi fosse in ogni istante e potevamo valutar­lo, ma Sarkozy è stato un iperattivi­sta della dissimulazione, un foco­so mascheratore del suo sé, non perché era amico dei ricchi (la sua buona boutade contro Hollande è stata quella: «Voi volete eliminare i ricchi, io voglio eliminare i pove­ri »). È che si comportava da ulti­mo venuto, voleva una destra dé­complexé e si comportava da pic­colo complessato della scala so­ciale, si vedeva sempre lo sforzo, e una istituzione bisognosa di rifor­ma come la presidenza francese non arrivava a sopportare, per la sua natura politica, la degradazio­ne di una corporeità ridicola, di un nanismo delle abitudini e dei retropensieri sempre in bella evi­denza, una viziosità implicita e su­bliminale dell'atto civile. Hollande meriterebbe di perde­re come il suo avversario, e per tan­te ragioni. Ma almeno ha levato la sua voce non autorevole di candi­dato verso il troppo pieno e il trop­po sodo delle politiche di austeri­tà senza crescita economica della signora Merkel, e ha ai miei occhi il vantaggio di non essere il presi­dente in carica che deve perdere per ragioni elementari di giustizia o di contrappasso.

    I due in televi­sione sono stati mediocri e compe­tenti, spesso la competenza non è in politica altro che una veste rigi­da della mediocrità. Squallidi poi quando si sono rinfacciati Berlu­sconi e Strauss- Kahn. Soprattutto Strauss-Kahn, che sarebbe stato presidente al posto di entrambi se solo non fosse stato Strauss-Kahn, cioè il contrario di Berlusco­ni, un fissato del sesso predatorio e un abile dissimulatore della sua vita privata, come quasi tutti i poli­tici francesi, invece che un Re del pettegolezzo cortigiano, della gen­tilezza verso le donne, della lealtà nella sua forma burlesque, impre­sariale, di spettacolo. Non sapevo della sua vita priva­ta, ha detto Hollande con la prima bugia del suo probabile quinquen­nato all’Eliseo, e voi lo avete nomi­nato ad alte funzioni. Nemmeno io sapevo della sua vita privata, ha obiettato il Pinocchietto che spe­ro si rivoltoli da stasera nella polve­re.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.