Questi liberal

Giuliano Ferrara

Elsa Fornero potrebbe essere persuasiva nell’assemblea di lunedì a cui è stata invitata dai lavoratori dell’Alenia. Potrebbe non esserlo, potrebbe usare toni giudicati arroganti. I lavoratori in assemblea potrebbero essere aspri ma civili e dialoganti oppure intrattabili e rissosi, chissà, ne sono successe di tutti i colori in passato. In Italia le fabbriche sono state per anni il luogo elettivo di una speciale democrazia diretta, con politici, sindacalisti, preti, manager, magistrati, amministratori chiamati a chiarire, verificare il grado di consenso della base operaia e tecnica sulle grandi questioni della vita nazionale.

    Elsa Fornero potrebbe essere persuasiva nell’assemblea di lunedì a cui è stata invitata dai lavoratori dell’Alenia. Potrebbe non esserlo, potrebbe usare toni giudicati arroganti. I lavoratori in assemblea potrebbero essere aspri ma civili e dialoganti oppure intrattabili e rissosi, chissà, ne sono successe di tutti i colori in passato. In Italia le fabbriche sono state per anni il luogo elettivo di una speciale democrazia diretta, con politici, sindacalisti, preti, manager, magistrati, amministratori chiamati a chiarire, verificare il grado di consenso della base operaia e tecnica sulle grandi questioni della vita nazionale. Negli anni Settanta le assemblee di reparto erano palestre molto spericolate, c’era l’ombra delle Brigate rosse e dei loro nuclei organizzati, c’era l’idea esiziale secondo la quale in fabbrica non vigeva un rapporto sociale di tipo capitalistico ma l’oppressione o il dominio di un ceto di sfruttatori e dei loro sgherri su figure sociali messianiche come il famoso operaio-massa, c’era un estremismo risentito e incivile, c’erano i cortei che si mettevano alla propria testa i capi intermedi con le bandiere rosse e li costringevano a sfilare sotto la gogna proletaria, c’erano gli incendi degli stabilimenti, le gambizzazioni, ma c’era anche un sindacato, la Cgil, che alla fine, con tutte le ambiguità e le connivenze della Fiom dell’epoca, sceglieva di incendiare le fabbriche di democrazia e di dialogo spericolato, che univa l’apparato sindacale al servizio della più esauriente e convincente versione della discussione democratica libera. Era come adesso un momento di grande crisi del capitale e del lavoro, dell’impresa e dei suoi dipendenti, e l’etica della grande Cgil, delle Camere del lavoro, fu quasi sempre un metodo aperto. Si tendeva a fuggire le demonizzazioni, o se le si subiva era il segno di una sconfitta cupa, di un chiudersi sulla difensiva in vista di sconfitte che puntualmente arrivarono con il blocco della Fiat e la marcia dei quarantamila. I sindacalisti imbroglioni, ideologicamente inclini al compromesso con la violenza, furono combattuti a viso aperto, l’idea di fondo era una funzione generale di tenuta, coesione e guida delle forze sociali e politiche di progresso nel segno della difesa della democrazia e dello stato, di un suo ordine civile al quale erano possibili soltanto alternative settarie, intolleranti, indegne di una grande tradizione che la Cgil cercava di incarnare con Lama e altri dirigenti dell’epoca. Di Vittorio e i suoi successori, in un mondo diviso dalla Guerra fredda, con un’Unione sovietica in cui vigeva la finzione ideologica del partito unico e della pianificazione in sostegno dei diritti egalitari dei lavoratori, erano dei liberal di una pasta speciale.

    Questi di adesso, e Susanna Camusso ha veramente pestato una merda, si spera senza esserne del tutto consapevole, pretendono di rovesciare il segno culturale e civile di una metodologia che aveva salvato una certa Italia classista dalle derive autoritarie e violente che sappiamo. Il segretario della Cgil ha affidato al Corriere un’intervista vendicativa, psicologicamente affetta dall’ira, da un’idea esclusivista e settaria del sindacalismo, in cui ha formulato l’interdetto contro il ministro del Lavoro: questa assemblea non s’ha da fare né ora né mai. Una roba ribalda, alla don Rodrigo, per impedire lo svolgimento di un incontro su invito dei lavoratori, destinato ad avere esiti più o meno utili, ma in sé utile e serio e responsabile come testimonianza di civiltà politica e sindacale. Questi socialisti che dirigono la Cgil dopo la lunga egemonia comunista sono peggiori dei predecessori. Hanno evidentemente una minore memoria, tradizione e cultura della fabbrica e della funzione del lavoro organizzato in un paese che ha questa Costituzione, e che ha saputo salvare certe regole demoliberali anche in tempi di ferro e di fuoco. Elsa Fornero è ministro del Lavoro in un governo voluto da Napolitano, presidente comunista o postcomunista eletto dalla sinistra politica nel 2006, un governo auspicato dai reggitori dell’economia europea, gente di cui diffidare ma che è decisiva per le sorti del mercato degli investimenti dell’occupazione in Italia nei prossimi anni, per non parlare dei redditi spendibili e dei consumi e delle pensioni, ed è una persona di sinistra che ha delle idee e le ha messe in discussione, compromessi e tutto, con le forze sociali e poi con le forze parlamentari parte della maggioranza di sostegno all’esecutivo. E’ una persona civile, coraggiosa, che non ha aspettato un minuto a chiedere e ottenere un invito al dialogo diretto con i lavoratori, pronta a replicare l’iniziativa per ogni dove sia ritenuto utile sentirla parlare e obiettarle argomenti e doglianze. L’interdetto è solo la prova di uno spirito rigido e di una paura non degni della Cgil.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.