Lavoro & cultura

Art. 18. Si sono calati le braghe o hanno fatto un passo avanti?

Giuliano Ferrara

Ora c’è chi dice che Monti e Fornero se la sono fatta sotto, che la riforma del mercato del lavoro non c’è più perché un compromesso ha ripristinato la reintegrazione nel posto di lavoro di chi sia licenziato per motivi “manifestamente insussistenti”, e dall’altra parte c’è chi fuori dall’area del compromesso tra i partiti, per esempio la Fiom e la sinistra estrema, dice che con lo Statuto del 1970 la reintegrazione era la regola, adesso è un’eccezione, e apriti cielo, il destino è l’oppressione dei lavoratori da parte dei cattivi imprenditori.

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    Ora c’è chi dice che Monti e Fornero se la sono fatta sotto, che la riforma del mercato del lavoro non c’è più perché un compromesso ha ripristinato la reintegrazione nel posto di lavoro di chi sia licenziato per motivi “manifestamente insussistenti”, e dall’altra parte c’è chi fuori dall’area del compromesso tra i partiti, per esempio la Fiom e la sinistra estrema, dice che con lo Statuto del 1970 la reintegrazione era la regola, adesso è un’eccezione, e apriti cielo, il destino è l’oppressione dei lavoratori da parte dei cattivi imprenditori. Insomma un gran casino. Vi dico che cosa ho capito io.

    Nell’attuale cultura giuslavorista di tipo europeo può esistere la facoltà di licenziare per un giustificato motivo oggettivo o economico, ma se quel motivo è “manifestamente insussistente”, formulazione parecchio perentoria ideata da Monti & Fornero, allora la deterrenza della reintegrazione possibile del licenziato è comprensibile. Nella prima versione della riforma c’era un errore culturale e logico: se un licenziamento economico non lo è, e un giudice lo accerta, si fissava solo un indennizzo, niente reintegro. Troppa grazia. Io stesso giustificavo l’adesione alla bozza Fornero originaria dicendo: mica ha abolito le cause di lavoro! La reintegrazione affidata alla magistratura di oggi è un rischio, ma inevitabile. Infatti è andata così.

    Raccontiamo qui sotto storie belle e problematiche di lavoro in America, ma ne troveremmo anche nel famoso e pretestuoso modello tedesco. Quello è un paese in cui la reintegrazione è cosa quasi da caserma, i sindacati sono forti e sono loro a proteggere i contratti “unionised”, mentre per i contratti privati “at will” vige un criterio liberista di fondo: c’è simmetria tra chi dà lavoro e chi è prestatore d’opera, e una conseguente libertà. Ma anche in quel caso le leggi sui diritti civili proteggono dalle discriminazioni, e non è raro che venga posta la questione della “good faith”, della buona fede nella motivazione di un licenziamento, con gli spiriti animali del capitalismo che cercano di pompare lavoro, profitto e altri salari, spesso con grande successo, ma non esattamente in una condizione selvaggia. Però per quel modello ci vuole una rivoluzione di costume e di cultura, ci vuole o la libertà d’impresa come dogma o la cogestione come metodo (modelli americano e tedesco), che non era quanto possibile fare partendo dal vecchio e umanitario Statuto di Giacomo Brodolini, socialista, del 1970. Monti e Fornero, mi pare di capire dopo attenta compulsazione dei testi, hanno fatto un passo avanti, liberalizzato con l’indennizzo le possibilità di intraprendere senza blindature. Non è poco, poi è questione di cultura civile e di giurisprudenza. Lì siamo deboli.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.