Ressentiment di classe

Giuliano Ferrara

Pubblichiamo un editoriale ficcante del Wall Street Journal. Dice che il capo operativo di una grande industria, e moderna, dovrebbe essere magnificato e non vilipeso in un paese a bassa crescita. Che quando si crea valore e lavoro non è affatto ingiusto percepire retribuzioni da favola collegate al risultato.

    Pubblichiamo un editoriale ficcante del Wall Street Journal. Dice che il capo operativo di una grande industria, e moderna, dovrebbe essere magnificato e non vilipeso in un paese a bassa crescita. Che quando si crea valore e lavoro non è affatto ingiusto percepire retribuzioni da favola collegate al risultato. Che i manager, tra cui questo Lévy benedetto dal talento e dalla fortuna, dovrebbero evitare di giocare la carta populistica della tassazione dei ricchi, per coerenza e decenza. E che una campagna elettorale in cui la sinistra se la prende con il denaro e la destra con gli immigrati non promette nulla di buono.

    La stagnazione europea ha nella cultura ideologica francese e nella concreta struttura del sistema politico francese uno dei suoi capisaldi. Mitterrand affettava di detestare l’argent, figuriamoci. La moda letteraria è quella, non esiste una coscienza liberale in quel paese. Sarkozy aveva promesso tutta una teoria di fattivi cantieri per promuovere lavoro, merito, talento e produttività economica scegliendo il modello americano. Chi l’ha visto quel cantiere? Hollande, che pure ha una rete di establishment capace di garantire una presidenza più che normale, civetta indiscriminatamente con la mentalità del ressentiment classista, e si moltiplicano nel vecchio e non rinnovato Partito socialista, per non parlare delle altre componenti neocomuniste e radicali della sinistra politica e intellettuale, generici ma aggressivi atteggiamenti no global.

    Non è un problema della sola Francia. La Fornero non aveva licenziato una legge che escludeva il giudice dal vaglio dei licenziamenti per motivi economici. Non aveva introdotto la formula americana del contratto “at will”, quello che è regolato solo da clausole private. Si era mossa in un contesto sindacalizzato, e anche in America i contratti “unionised” sono fomite naturale di cause di lavoro e di intervento dei giudici, sebbene in America e in Germania i giudici del lavoro o civili siano appunto giudici e non guardiani della lotta di classe e dello spirito punitivo anti impresa. Anche nella prima bozza Fornero il giudice poteva dichiarare “l’inesistenza” di un giustificato motivo economico per il licenziamento, solo che a quel punto era in suo potere fissare un risarcimento anziché una reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente licenziato. Ora quella reintegrazione torna come possibilità, per un compromesso politico dell’esecutivo con la sua maggioranza. Il che è un rischio ma alla fine non fa scandalo, seguendo il filo della logica: se il motivo economico non esiste (prima bozza) o è “insussistente” (secondo articolato del disegno di legge), vuol dire che il motivo dissimulato è un altro, magari disciplinare o discriminatorio, e a quel punto la reintegrazione è sanzione comprensibile. Il sapore comunque è di diffidenza risentita e classista verso gli imprenditori in un paese molto sindacalizzato e tremendamente ideologizzato. “Chi è titolare di una attività economica stabilisce rapporti ‘at will’ (volontà consensuale delle parti) e dunque c’è diritto di interromperli da un lato e dall’altro”: questa simmetria liberale estrema, che caratterizza certi rapporti di lavoro, lasciando il resto alla cogestione (modello tedesco) o ad altre forme contrattuali verificabili anche in cause di lavoro, cum grano salis, è estranea alla nostra cultura diffusa. Quelle parole tra virgolette ci vorrà un altro mezzo secolo per vederle scritte in una legge italiana. Quella di Monti risulta una riforma utile, non una rivoluzione culturale. Bisognerà farsene una ragione. 

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.