Se sull'articolo 18 vince la Fornero cambia qualcosa, se no, no

Giuliano Ferrara

La mia impressione è che se sull’articolo 18 vince la Fornero, con il suo bagaglio di competenze, i suoi amici professori amici di un welfare liberalizzato e aperto, i suoi legami con l’establishment della Torino borghese, si fa qualche progresso. Se vincono la Camusso e la Marcegaglia, con il condizionamento decisivo di due apparati associativi conservatori, con la rispettabile ma opacizzata tradizione delle vecchie relazioni sindacali e della vecchia concertazione politica, non ci si muove di un passo.

    La mia impressione è che se sull’articolo 18 vince la Fornero, con il suo bagaglio di competenze, i suoi amici professori amici di un welfare liberalizzato e aperto, i suoi legami con l’establishment della Torino borghese, si fa qualche progresso. Se vincono la Camusso e la Marcegaglia, con il condizionamento decisivo di due apparati associativi conservatori, con la rispettabile ma opacizzata tradizione delle vecchie relazioni sindacali e della vecchia concertazione politica, non ci si muove di un passo. Alla fine forse si troverà un compromesso, forse il compromesso effettivo sarà mascherato da un diritto al mugugno e alla protesta molle e corta, forse salterà ogni accordo e ci sarà una inutile turbolenza contro un governo corazzato dalla propria legittimazione emergenziale, un esecutivo che non deve letteralmente mettere ai voti le riforme sociali. Di sicuro c’è che la battaglia è contro l’immobilismo, e purtroppo i due maggiori fattori di immobilismo sono i sindacati massimalisti e corporativi e il padronato furbo, pigro e incapace di alcuna visione del futuro possibile.

    Il demoniaco fascino della concertazione o coesione sociale o codecisione astratta fra potenze politico-sociali estranee alle vere regole della contrattazione d’impresa e del lavoro già ristrutturato dall’evoluzione della società capitalistica, alla vera vita di aziende che investono poco, fanno poca ricerca, s’impigliano nella sovvenzione a pioggia, è noto da decenni. Produce un sistema di diritti inesigibili, produce disoccupazione, in particolare giovanile, produce disperazione al sud, produce la stasi dell’investimento dall’estero, produce quella particolare e inaudita convergenza su bassi salari, su un egualitarismo di principio smentito dalla condizione reale della gente che lavora e che non lavora o che lavora in modo precario. Questo paese è tormentato dall’appello ideologico piagnone, dalla convergenza d’intenti mai pragmatica, con la testa sempre rivolta al passato, a documenti scritti da Giacomo Brodolini, grande socialista riformista, in un tempo in cui chi scrive era un bambino e la struttura del lavoro, e del capitale, era radicalmente diversa da quella di adesso, in Italia, in Europa, nel mondo. Anche i giacimenti di carbone dei minatori di Scargill erano una posta in gioco poco più che simbolica, come l’articolo 18, ma la battaglia della Thatcher fu decisiva.

    I liberisti sono marxisti rovesciati. Sanno, perché la loro è una sociologia seria, che il lavoro si difende attaccando il rapporto di sfruttamento, nello scontro tra profitto e salario, che è un conflitto tra consanguinei, tra classi che producono un ordine, non il caos impazzito a cui si assiste quando ci si rivolta contro le regole ovvie della globalizzazione dei mercati o contro il funzionamento della fabbrica capitalistica o del regime dei servizi in cui consiste il grosso della produzione e dell’incremento della ricchezza oggi. E’ la infausta teoria pansindacalista degli anni Sessanta che ha trasformato i lavoratori da sfruttati, cioè soggetti di un rapporto sociale che si chiama capitalismo, a oppressi ovvero sudditi di una società che nega diritti. L’estensione dei diritti astratti a scudo sociale unico è il grande inganno ideologico in un regime di produzione e lavoro in cui il vero potere degli sfruttati (uso questo temine per una ragione non solo stilistica) è il livello dei loro salari e la continua creazione di nuova base occupazionale: un forte potere d’acquisto dei lavoratori e un mercato generoso di occasioni sono la condizione di base per l’esercizio di un responsabile ed efficace potere sindacale, basta guardare all’America. In Italia la missione delle Camusso e delle Marcegaglia è sempre stata, con ottimi risultati, quella di trascurare la condizione salariale delle aziende e di partecipare alla riduzione della base di lavoro disponibile, fino al necessario rigonfiamento del paralavoro selvaggiamente flessibilizzato ai margini delle protezioni simbolicamente riassunte nell’articolo 18. Se vincono loro, continua così: bassa crescita, bassi salari, poco lavoro. Se vince la Fornero, forse qualcosa può cambiare.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.