
Chi ci protegge dai pm arroganti?
Vogliamo anche noi una “pratica a tutela”, come recita la dizione burocratico-disciplinare del Consiglio superiore della magistratura quando si tratti di fare scudo a un collega. Contro l’arroganza di certi pubblici ministeri e del loro apparato mediatico di riferimento. Ora pretendono, sugli stessi giornali che hanno cercato di coartare la Cassazione diffondendo pizzini diffamatori nei confronti dei giudici della V sezione penale incaricata di decidere sul caso Dell’Utri, di mettere sotto accusa un procuratore generale che ha censurato il procedimento d’accusa da loro istruito e il dibattimento e le sentenze di condanna che secondo lui non erano “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Vogliamo anche noi una “pratica a tutela”, come recita la dizione burocratico-disciplinare del Consiglio superiore della magistratura quando si tratti di fare scudo a un collega. Contro l’arroganza di certi pubblici ministeri e del loro apparato mediatico di riferimento. Ora pretendono, sugli stessi giornali che hanno cercato di coartare la Cassazione diffondendo pizzini diffamatori nei confronti dei giudici della V sezione penale incaricata di decidere sul caso Dell’Utri, di mettere sotto accusa un procuratore generale che ha censurato il procedimento d’accusa da loro istruito e il dibattimento e le sentenze di condanna che secondo lui non erano “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Pretendono di scagliare con toni da comizio la memoria dei martiri della mafia come Giovanni Falcone (gente seria che trovava prove, teorizzava la separazione delle carriere, e collaborava con Andreotti, Vitalone e Martelli) contro il pg Iacoviello, che ha giudicato “incredibile” il capo di reato così malamente amministrato in giustizia contro il senatore palermitano, il “concorso esterno in associazione mafiosa”. Pretendono di vendicarsi contro il togato per aver messo in luce la grancassa mediatica rombante che ha ritmato fior di inchieste all’insegna della gogna, questi scrittori di fiction giudiziaria arrivati a definire un pataccaro “icona dell’antimafia”. Pretendono, pretendono.
Invece dovrebbero chiedere scusa, e se non riescano a farlo dovrebbero rendere conto. Dal momento che non è in questione la collusione tra la mafia e la politica, fenomeno evidente e a tutti noto nella storia d’Italia, ma la capacità puntuale di individuare responsabilità penali in uno stato di diritto. Ma chi vogliono ingannare, con le loro tesi e le loro temerarie querele, questi pm militanti, questi che fanno comizi in piazza contro le leggi all’esame del Parlamento, questi magistrati potenti e dal comportamento politicamente spregiudicato che usano della loro capacità professionale per andare oltre, per portare la giustizia in tv e nella lotta politica, per scrivere a loro modo la storia di questo paese, per emettere giudizi soggettivi che sono il contrario del giusto processo, secondo la legge?
La pratica a tutela dell’opinione pubblica, e delle vittime di questo modo di procedere, spetta al capo dei magistrati, che è il presidente della Repubblica; al ministro della Giustizia, che ha la responsabilità dell’accertamento disciplinare; al procuratore generale della Cassazione e al vicepresidente del Consiglio superiore, che non possono assistere impotenti al massacro della giurisdizione attraverso le interviste sui giornali. Un pm può difendere il suo lavoro, con toni acconci, dopo che una sentenza lo ha smantellato. Ma non può offendere il prestigio della magistratura imparziale e il senso di giustizia che su questo poggia con accuse di malafede.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
