Se domani il Foglio chiudesse i battenti…

Giuliano Ferrara

Se domani il Foglio chiudesse i battenti, noi della cooperativa giornalistica che lo facciamo, i collaboratori e i lettori spenderebbero qualche lacrimuccia. Però venderemmo la piccola sede che ci siamo comprati nel tempo, da brave formichine dei bilanci, troveremmo il modo di liquidare nel giusto modo i dipendenti, e alla fine i partner della società editoriale che hanno pagato un modesto deficit dei primi due ann rientrerebbero di una parte abbastanza consistente dell’investimento.

    Se domani il Foglio chiudesse i battenti, noi della cooperativa giornalistica che lo facciamo, i collaboratori e i lettori spenderebbero qualche lacrimuccia. Però venderemmo la piccola sede che ci siamo comprati nel tempo, da brave formichine dei bilanci, troveremmo il modo di liquidare nel giusto modo i dipendenti, e alla fine i partner della società editoriale che hanno pagato un modesto deficit dei primi due anni, quando non incassavamo i quattrini pubblici, e che negli anni successivi ci hanno sostenuto in sostanziale pareggio, a parte l’amicizia e il gusto di un’avventura editoriale fortunata, rientrerebbero di una parte abbastanza consistente dell’investimento. E’ la logica di un giornale che non è mai diventato un carrozzone, che non ha mai generato debito, che ha fatto i conti con il possibile praticando l’impossibile, si è arrabattato a cercare pubblicità non senza qualche malizia ma in modo sempre piuttosto corretto, ha avuto un buon contratto con la Mondadori, ridimensionato nel tempo per gli inevitabili tagli aziendali (niente logica da straricchi o da jeunesse dorée); e insomma ce l’ha fatta a vivere e sopravvivere per tanti anni, sedici, con la libertà di tono e i successi di stima e di influenza che le persone oneste gli riconoscono, però senza pompose rivendicazioni di libertà e con un’adesione naturale, spontanea, a idee che erano parte delle diverse storie del gruppo fondatore, e sono diventate, nella più assoluta autonomia individuale dei singoli, uno stile per tutti, specie per la redazione dei giovani e per i collaboratori che il giornale l’hanno scritto, impaginato, nutrito.

    Ma il Foglio conta di non chiudere. Anzi, conta di rilanciare il suo progetto. Deve ristrutturare i suoi bilanci perché le sovvenzioni sono agli sgoccioli, e se non cambiassimo la struttura dei costi, con la collaborazione di tutti e dei sindacati, produrremmo un deficit che ci ucciderebbe. Non abbiamo mai praticato la lagna o la questua, c’era una legge, abbiamo aderito con orgoglio e senza jattanza perché sapevamo di fare un prodotto destinato alla creazione di uno spazio politico, civile e di cultura, non un veicolo per il reddito d’impresa. Ci è piaciuto pensarci dall’inizio come un ente lirico che salvaguarda una tradizione, che mette in archivio ogni giorno una formula tollerante, ma anche militante, di circolazione delle idee. E lo abbiamo dichiaratamente fatto, fuori da compressioni faziose e con molta irriverenza, sotto l’ombrello della più trascinante esperienza politica generata dalla crisi della Repubblica dei partiti, quella del Cav. o di Berlusconi se preferite, con i suoi alti e bassi, altissimi e bassissimi.

    Rifatto il conto della serva, e la cosa più dolorosa è la rinuncia ad essere in edicola in Sicilia e Sardegna, dove i costi di stampa e distribuzione erano diventati proibitivi, e altrettanto fuori bilancio l’eventualità di una distribuzione per le costosissime vie postali (con eccezioni nella stagione turistica), pensiamo di potere rilanciare con un forte rafforzamento della via on line le idee e le mezze follie che ci incantano, oggi parecchio confuse (ma è nella natura di imprese liberali oscillare nel dubbio, specie quando la situazione si fa dubbia). Ci proveremo. Intanto sperimenteremo fino a che punto la fruizione del Foglio com’è sulla rete potrà compensarci della perdita di lettori che non ci troveranno più nelle edicole di Palermo, Catania, Cagliari, Sassari e così via. E nel frattempo cerchiamo di definire, con alleati e interlocutori seri, una piattaforma di prodotti, fondata sui contenuti e l’identità del giornale che conoscete, ma diversificata, si spera divertente, sempre fondata sulle virtù ancora non contestate della parola, sebbene diffusa come per immagine, senza il supporto della carta e dei vecchi e nuovi metodi di stampa, in tempi e in forme tecnologiche cosiddette multimediali (i tablet, i computer, i telefonini e chissà che cos’altro ancora ci riserverà il futuro). Il problema è sempre lo stesso: ridurre i costi, aumentare i ricavi, produrre qualcosa che valga la pena di leggere. Da febbraio scatterà anche un aumento di prezzo. Ci aspettano almeno un paio d’anni non facili, nessuno ci aveva promesso un giardino di rose, intorno alla testata c’è un clima miracoloso e persistente di ribalda simpatia, che fa del nostro antimercato, della nostra nicchia, un motorino mica male per continuare la lunga passeggiata romantica, cominciata nel 1996, nelle nuove condizioni ambientali di crisi nera. Dovesse alla fine andare male, ciò che è umanamente possibile ma molto improbabile, ci diremo che nessuno aveva sperato che andasse bene tanto e tanto a lungo. Un saluto affettuoso e un grazie ai lettori del Foglio, del Foglio rosa del lunedì e del Foglio.it.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.