Il machiavello di Draghi, banchiere centrale, eroe inatteso

Giuliano Ferrara

Sabato il New York Times ha definito Mario Draghi con la sua Banca centrale di Francoforte un unlikely hero, un eroe inatteso o improbabile. Alla sua opera di rifinanziamento indiretto e discreto del sistema bancario sono attribuibili i segnali di tenuta relativa di Italia, Spagna e Francia sui mercati finanziari.

    Sabato il New York Times ha definito Mario Draghi con la sua Banca centrale di Francoforte un unlikely hero, un eroe inatteso o improbabile. Alla sua opera di rifinanziamento indiretto e discreto del sistema bancario sono attribuibili i segnali di tenuta relativa di Italia, Spagna e Francia sui mercati finanziari, le tensioni leggermente alleviate sui titoli più compromessi dall’aggressività e dalla malavoglia degli investitori mondiali, le aste riuscite e il ribasso dei tassi di interesse a medio termine, oltre al profilarsi di una mezza soluzione per la famosa tragedia greca del debito contaminante. Restano risultati aleatori, graduali, non irreversibili. Resta il problema di ridimensionare il “feticcio” dell’austerità, una volta stabilite le regole del pareggio di bilancio e del patto fiscale con valore di trattato, e di combattere l’inizio di recessione, inoculare con riforme di struttura una quantità di sangue capitalistico (liberalizzazioni, competitività, produttività) nel modello dell’economia sociale di mercato.

    Leggeremo con attenzione il libro di Giulio Tremonti in cui si parla immaginosamente di “fascismo finanziario”. Cattivo politico, l’ex ministro italiano dell’Economia è saggista di talento, inventivo e prolifico di idee. Per adesso sembrerebbe acclarato che è una banca, un’istituzione finanziaria pubblica che agisce con metodi privati e sul terreno della stabilizzazione dei mercati attraverso le banche private, il prim’attore dell’unico serio piano di uscita dall’emergenza che rischia di travolgere la moneta comune senza garante. La finanza dei cittadini salvata dalla finanza dei banchieri?

    Piano con le conclusioni. Sabato abbiamo giocato un po’ sull’apologia dell’avidità come ideologia irrecusabile del sistema globalizzato, che ne garantisce alla fine la vitalità e lo stesso destino di sopravvivenza. Lanfranco Pace ci ha spiegato con leggerezza, sapienza e improntitudine calcolata la filosofia di Gordon Gekko. I critici della finanza libera e del mercato aperto hanno tuttavia molte ragioni a confortare la loro intolleranza, visto come sono andate le cose prima con il debito privato in America e poi con il debito pubblico in Europa. Un dubbio però comincia ad affacciarsi.

    Forse la cura dei nostri mali, sia per i keynesiani sia per i liberisti, è quella di dare più potere, non meno, alla finanza. Se sono le aste, gli spread, i fondi di investimento e infine le banche o la Banca a determinare ormai i cambiamenti di governo, le regole della democrazia d’emergenza, vuol dire che la politica, con i suoi pareggi di bilancio, la sua disciplina fiscale, il suo monopolio della decisione sull’economia reale e su giustizia e forza, deve riconoscere l’esistenza di nuovi attori e fare i conti con loro con molta calma, senza reazioni primitive, senza rivendicazioni che risultano poco realistiche. Un machiavello finanziario gestito da un italiano che ha studiato dai gesuiti di Roma, Istituto Massimo, ha sparso indifferenza apparente sulle sorti del sistema (la banca non compra titoli di debito pubblici) e insieme ha agito perché fosse ridotta la letale differenza di una moneta senza garante di ultima istanza (la banca compra i titoli del debito pubblico degli stati attraverso le banche private generosamente finanziate). Politica e finanza combinate, scelta dei tempi rigorosamente scadenzata (ci sono voluti, per procedere, due nuovi governi a Madrid e a Roma, e una specie di nuovo trattato in gestazione, il famoso fiscal compact in discussione entro la fine del mese).  

    Culturalmente, a parte i risultati pratici che risulterebbero, se confermati, la svolta decisiva in una brutta storia che rischia di travolgere tutto, è una bella lezione di immoralismo efficiente. Gli eroi prevedibili scarseggiano, il paese di mare si accanisce sulla questione dell’eroe e del codardo, intanto gli eroi inattesi dell’Italia continentale agiscono e cercano un po’ di luce nella grande opacità finanziaria.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.