
Campagna d'Ungheria
C’è il sospetto, che non è l’anticamera della verità, gravante su Viktor Orban, premier ungherese di destra, già leader del dissenso anticomunista, eletto con una maggioranza parlamentare dei due terzi nell’aprile del 2010, dopo un decennio di bancarotta di socialisti, progressisti e verdi incollati insieme dagli ex comunisti di Kádár e compagnia. Il sospetto è che sia autoritario o comunque troppo decisionista, che voglia cambiare le regole politiche nel suo paese, che non sia entusiasta dei valori cosiddetti dell’Europa unionista.
C’è il sospetto, che non è l’anticamera della verità, gravante su Viktor Orban, premier ungherese di destra, già leader del dissenso anticomunista, eletto con una maggioranza parlamentare dei due terzi nell’aprile del 2010, dopo un decennio di bancarotta di socialisti, progressisti e verdi incollati insieme dagli ex comunisti di Kádár e compagnia. Il sospetto è che sia autoritario o comunque troppo decisionista, che voglia cambiare le regole politiche nel suo paese, che non sia entusiasta dei valori cosiddetti dell’Europa unionista, che attribuisca un peso diverso da quello mainstream alla tradizione, alla nazione, alla religione, alla tormentata storia ungherese, a un’etica controcorrente (matrimonio tra maschio e femmina, diffidenza verso l’aborto), e che per di più il cattivo soggetto tenti di arginare lo strapotere sovranazionale dei mercati finanziari facendo un poco da sé, ma senza soldi abbastanza per fare veramente da sé (come spiegava bene il Foglio di ieri in prima pagina). Il Manifesto (quotidiano comunista) ieri spiegava che ci vogliono i tecnici, per estirpare quel governo della maggioranza dei due terzi.
C’è un altro sospetto, che non è l’anticamera della verità ma si combina con una serie di indizi da non sottovalutare. Il governo eletto in Ungheria intende, con il consenso della sua maggioranza e stimolando una fiera opposizione non sempre in grado di scagliare la prima e la seconda pietra, cambiare regime. Ha cominciato con leggi sulla magistratura, con la legge elettorale, con provvedimenti economici e ridefinizioni del potere di controllo sulla moneta e la finanza che penalizzano l’autonomia della banca centrale, più una legge quadro di concordato che elimina sovvenzioni per alcune sette religiose e mantiene un rapporto pattizio con cristiani ed ebrei, più misure che normano la libertà di stampa senza minimamente sradicarla o negarla. Ha rafforzato queste leggi, che si accompagnano a una retroattiva messa in mora del personale politico dello stato autoritario comunista magiaro, definendo un nuovo quadro costituzionale al centro del quale sta il fatto che la repubblica è confermata come la forma di stato, ma l’identità profonda del paese trascende la forma di stato, e l’Ungheria diventa semplicemente l’Ungheria, e un riferimento a Dio e al cristianesimo campeggia con la stessa o con una superiore forza ieratica dei riferimenti ai diritti umani, alla fraternità, al creatore o al primato del lavoro in tante altre costituzioni europee.
Domanda rivolta a chi partecipa in modo spesso un po’ troppo fanatico alla confusione orchestrata intorno ai conflitti della società ungherese, alle culture di riferimento dei partiti di sinistra e di destra, e soprattutto alla strategia di intrusione sistematica di organismi finanziari internazionali come il Fmi, o soggetti influenti come il dipartimento di Stato americano e l’Unione europea: siete sicuri che non sia tutto un abbaglio? Siete certi che l’Europa debba comportarsi, quando si tratta di valori politici, in modo giacobino anziché liberale, magari con venature progressiste e conservatrici? Chi o che cosa ci autorizza a giudicare con tanta sussiegosa severità, senza prove se non vocalizzi o argomenti per lo meno controversi, una maggioranza schiacciante di ungheresi, con le sue libere scelte politiche?
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