Discese in campo 2.0
Come si difende il bipolarismo in una situazione che ha distrutto le coalizioni faticosamente uscite da quasi vent'anni di storia italiana dopo la fine dei vecchi partiti, nel centrodestra come nel centrosinistra? Che ruolo deve esercitare l'Italia per limitare l'egemonismo nazionale tedesco in Europa, e rilanciare un modello di sviluppo credibile attraverso una radicale riforma del modo di governare l'euro oltre la crisi finanziaria del debito sovrano? Su quali leve si può agire per avviare una crescita economica e produttiva inceppata da oltre un decennio?
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Come si difende il bipolarismo in una situazione che ha distrutto le coalizioni faticosamente uscite da quasi vent'anni di storia italiana dopo la fine dei vecchi partiti, nel centrodestra come nel centrosinistra? Che ruolo deve esercitare l'Italia per limitare l'egemonismo nazionale tedesco in Europa, e rilanciare un modello di sviluppo credibile attraverso una radicale riforma del modo di governare l'euro oltre la crisi finanziaria del debito sovrano? Su quali leve si può agire per avviare una crescita economica e produttiva inceppata da oltre un decennio? Quali riforme liberali si possono introdurre e come si può dare al paese la speranza di uscire dall'incubo di tasse, disoccupazione e recessione prolungata che li opprime oggi? Quale forma di stato e di governo è adatta a gestire in tempi rapidi, ma con rispetto dei diritti civili e della sovranità popolare, una fase di erosione della democrazia politica che ha dimensioni nazionali e globali? A queste domande, che riguardano tutte le forze politiche non basta rispondere ricordando i tentativi messi in atto nel passato o gli errori degli avversari.
Oggi in Parlamento, in occasione del voto di fiducia sulla manovra d'emergenza di Monti e dei suoi tecnici, si registrerà probabilmente un insieme di mugugni, di perplessità, qualche scarto, qualche piccola minaccia obliqua, e poco più. Ma occorre che rapidamente le leadership di centrosinistra e centrodestra si attrezzino per uscire, senza impennate demagogiche, da questa clandestinità autoimposta, da questo tran tran che disonora e svuota il loro rapporto con gli elettori, con la società. I centristi hanno già deciso che la conformità al progetto espresso nel governo Monti è il metro di misura del futuro. Lavoreranno per un'alleanza che renda possibile una modernizzazione tecnocratica secondo l'esperienza che offre e offrirà l'esecutivo dei bocconiani. Generico ma chiaro. Ma gli altri. Un Bersani o un Berlusconi-Alfano?
A occhio e croce, non ci sono terze vie. O si decide che la soluzione Monti non funziona, perché non risolve l'emergenza finanziaria e non apre prospettive di rilancio nazionale, né nelle decisioni recessive domestiche né in quelle condivise a Bruxelles con il direttorio teutonizzato, e ci si assume la responsabilità di stabilire confini temporali rigidi all'esperienza tecnocratica, cominciando a delineare un nuovo programma per un nuovo governo deciso dagli elettori.
Oppure, se si ritenga che nuove elezioni e nuovi governi fondati su queste regole produrrebbero il poco del passato, con rischi gravi di tenuta dell'Italia, i leader alternativi si accordino su una proposta per cambiare il sistema, dalla legge elettorale ai poteri dell'esecutivo e di chi lo guida, fino alla riforma del Parlamento e della sua pletorica disfunzionalità, resa teatrale dalle ultime performance tribunizie e dal suo ammutolimento (due facce della stessa medaglia). Insomma, la cosa peggiore è trascinarsi in una logica in cui gli unici elementi di identità sono forniti dal risentimento per il passato o da sortite demagogiche e particolaristiche per il presente. Se non si può mettere in crisi a breve la soluzione Monti, nonostante cominci a deludere i contraenti del patto underground, e ripristinare il conflitto polare del passato, l'unica è accordarsi per un nuovo patto politico costituente in vista del 2013.
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