La cura tecnica e la democrazia

Giuliano Ferrara

A riformare le pensioni e le tasse e la concorrenza di mercato ci si sono provati in tanti, nel corso di due diversi regimi, la prima e la seconda Repubblica, quella dei partiti, della Democrazia cristiana e di Craxi, e quella degli schieramenti bipolari incarnata da Berlusconi e dall'Ulivo. Risultati anche importanti ma minimi, scacco politico e strategico. L'Italia si ritrova infine isolata davanti al tribunale della crisi finanziaria della moneta unica, è segnata a dito e trattata apertamente come la polveriera d'Europa, intorno alla sua spirale recessiva da debito ruota il mutamento nella natura del potere di comando sovranazionale.

    A riformare le pensioni e le tasse e la concorrenza di mercato ci si sono provati in tanti, nel corso di due diversi regimi, la prima e la seconda Repubblica, quella dei partiti, della Democrazia cristiana e di Craxi, e quella degli schieramenti bipolari incarnata da Berlusconi e dall'Ulivo. Risultati anche importanti ma minimi, scacco politico e strategico. L'Italia si ritrova infine isolata davanti al tribunale della crisi finanziaria della moneta unica, è segnata a dito e trattata apertamente come la polveriera d'Europa, intorno alla sua spirale recessiva da debito ruota il mutamento nella natura del potere di comando sovranazionale. Il superstato fiscale, coeso e tedesco, sarà il parto del nostro storico immobilismo e delle sue conseguenze, se e quando nascerà, oltre che dell'egemonismo tedesco nel sistema dell'euromoneta. Può essere che la performance di Monti sia mediocre, che si risolva tutto in inasprimenti fiscali deflattivi e recessivi, che il governo tecnico non trovi la strada della ripresa dell'economia e dello sviluppo, che le riforme strutturali famose, a partire da quella delle pensioni, si rivelino un osso troppo duro per essere rosicchiato con dentature accademiche. E che dunque la deriva non si fermi, che i conti tecnici non tornino. Vedremo, anche se nessuno se lo augura, un simile disastro.

    Ma intanto è assillante un sospetto, alimentato dalla compostezza spettrale con cui il pacchetto decisionista di Monti viene definito al riparo da negoziati chiassosi e liti ministeriali vecchia scuola, con una promessa di comunicazione tv da Bruno Vespa che potrebbe rivelarsi ancora un'altra algida sorpresa di metodo: se Monti e i suoi ministri e banchieri, che hanno davanti un Parlamento impotente a opporsi, parti sociali prostrate dalla effettualità della crisi finanziaria internazionale, alla fine ce la facessero? Se riuscissero a decidere dove hanno fallito Fanfani, Moro, Andreotti, Craxi, De Mita, Amato, Ciampi, Prodi, D'Alema e soprattutto Berlusconi? Se gli venisse buono di modificare il vecchio panorama previdenziale, fiscale, di mercato e di welfare che ha bloccato il paese per decenni in una confusa ginnastica tra presunti riformisti e presunti conservatori di destra e di sinistra? In quel caso non basterebbe dire: rallegramenti, auguri e figli maschi. Perché la conseguenza del successo decisionale di un governo tecnico, per di più su materie cruciali del nostro modo di vivere, dalle pensioni ai licenziamenti alla libertà di mercato, è che la forma di stato e la forma di governo che hanno fallito lo scopo politico centrale, decidere per il meglio nell'interesse del paese, sono praticamente da buttare. O almeno vanno cambiate in profondità, radicalmente sovvertite, visto che, sia nell'epoca del sistema proporzionale e dei partiti sia nell'epoca del bipolarismo maggioritario, le istituzioni costituzionali e la politica che le ha incarnate hanno accumulato i problemi che una cupola di professori, sollevata dalla responsabilità e dagli obblighi del consenso popolare, finalmente risolve in una missione di salute pubblica. Il paradosso è bello che squadernato davanti a noi: o la politica e le corporazioni impediscono anche al governo tecnocratico di decidere, come è sempre avvenuto in passato con gli esecutivi politici più diversi, e allora la missione di salvezza è compromessa, e sono seri i rischi dell'Italia in Europa e nel mondo; oppure alla decisione si arriva, in condizioni di congelamento della politica, e allora bisogna rifare dalle fondamenta quel sistema che nel suo ordinario registro politico ed elettorale non produce decisione. Non è che nel 2013 si potrà ricominciare come nulla fosse.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.