L'Elefantino risponde al professor De Marco

Meditazione sul governo del professore

Giuliano Ferrara

Al direttore - l'iniziativa informale del Presidente della Repubblica sulla questione della cittadinanza agli immigrati, in quanto potrà trovare una sponda nell'azione del governo Monti, ci impone di riflettere sul nesso Presidenza della repubblica-Governo, la sua legittimità e i suoi limiti politici, in termini formali al di là di una strategia di opposizione o di favore.
Pietro De Marco

Caro professor De Marco, lei mi scrive cose intelligenti e profonde, ma questo è un momento in cui bisogna stare alla superficie delle cose, che spesso come lei sa è il loro cuore.

Leggi Sulle presunte colpe di Napolitano nella nascita del governo tecnocratico di Giuliano Ferrara - Leggi Mario Monti, un mondialista alla guida dell'Italia

    Al direttore - l'iniziativa informale del Presidente della Repubblica sulla questione della cittadinanza agli immigrati, in quanto potrà trovare una sponda nell'azione del governo Monti, ci impone di riflettere sul nesso Presidenza della repubblica-Governo, la sua legittimità e i suoi limiti politici, in termini formali al di là di una strategia di opposizione o di favore.

    Mi permetta di sostenere, come premessa politica, che la ‘sospensione della democrazia', che legittimamente preoccupa molti e Lei, non è il nostro principale problema, oggi. Non solo perché il processo formale che ha prodotto l'attuale governo non ha visto alterazioni del quadro costituzionale, ma perché – più profondamente – non va dimenticato che sovrano è chi decide sullo stato d'eccezione, che è formula rigorosa (è noto che Carl Schmitt fu grandissimo costituzionalista) non elogio del colpo di stato. Ovvero:  nell'incombere della necessità, al di sopra della sovranità delle leggi (realizzata nell'ordinamento e tramite l'ordinamento) vi è la sovranità del corpo politico nella sua rappresentanza; ovvero si torna all'esercizio primo, originario, della politica. Nessun ordinamento ha la qualità inalterabile dei diritti di natura; nel suo profilo essenziale e nel suo fondamento esso è conseguenza della decisione politica. Se forze conformi all'ordinamento, in una congiuntura, si trovano vincoli, insomma nell'impossibilità nel garantire il bonum commune, ciò che produce quei vincoli va sospeso. Nel nostro caso: se il mandato popolare produce una rappresentanza immobilizzata, il decisore deve, quindi può, essere temporaneamente un attore politico emancipato, quantomeno immunizzato, dagli effetti perversi (vale a dire: in negativo difformi dai calcolati) della connessione eletti-elettori.

    La coscienza del Notfall, del caso di necessità o di emergenza su cui vi è in Italia un diffuso accordo, portata alle sue conseguenze dalla rappresentanza politica - dalla sua magistratura più alta al Parlamento – con l'insediamento del governo Monti, dovrebbe aiutare a non aprire oggi un nuovo, dannoso, capitolo di deprecazioni al posto di diagnosi e di calcolo delle soluzioni.
    Il problema di massimo rilievo è piuttosto quello di definire i termini dello stato d'eccezione e del mandato di un esecutivo (del Presidente, più che del Parlamento) in sé esonerato, ai fini del bonum commune, da ogni preesistente ‘patto' cioè vincolo dei partiti, più che degli eletti, con gli elettori. Lo stato d'eccezione è ravvisato, o simboleggiato, nella cosiddetta ‘crisi di fiducia' dei mercati finanziari verso la nostra (di stato sovrano debitore) solvibilità. Il mandato riguarda la manovra idonea a restituire quella ‘fiducia'; ‘so io come farmi ascoltare dai mercati', sembra abbia detto il prof. Monti. Bene; questo è il compito, nei termini concertati in cui il governo di un paese europeo non può che operare. S'intende che la ‘crescita' non sarà mai l'effetto delle scelte di un esecutivo e che i suoi tempi sono comunque non brevi, comunque imprevedibili. Né il governo d'eccezione potrà giustificare la propria permanenza en attendant la crescita. Dovrà compiere, se vi riuscirà, quegli atti di organizzazione, liberalizzazione e ‘facilitazione' da molte parti richiesti come precondizioni, ma - sottolineo - temuti dalla società civile, nella sua maggioranza, e dalle forze che la rappresentano. Una società molecolare, la nostra, in cui non vi è minima porzione o segmento che non abbia ottenuto nei decenni leggi, provvedimenti, allocazioni per i propri singolarissimi bisogni. La classe politica ha ascoltato e ascolta troppo, non troppo poco, il ‘paese reale' nel suo individualismo di persone e di corpi sociali. Così qualsiasi rimozione del fitto e immobilizzante tessuto di ausili (incoerenti e spesso disfunzionali) elargiti ai membri di ogni ceto, genera dissenso e rivolta. Il governo Monti, nella sua ‘neutralità' che è la formula stessa della sua politicità, e che partecipa in certa misura della ‘irresponsabilità' del Presidente della Repubblica, ha in effetti il compito ingrato, e necessario, di non ascoltare l'infinita e contraddittoria tessitura dei lamenti e dei ricatti dal basso, dal ‘particulare'.

    Ma, al di fuori dell'orizzonte dei ministeri economici e di altri funzionalmente collegati (infrastrutture ecc.) nessuna attività ministeriale ‘innovativa' sarebbe accettabile. Dalla bioetica a decisioni rilevanti di politica estera, da scuola e università a giustizia e interni, Monti non ha mandato ad alterare significativamente le linee del passato governo. In sé, sotto ogni profilo principale, il governo del Presidente ha il mandato di togliere dalle secche e proseguire l'uscita del paese dalla prima Repubblica. Indipendentemente dalle attese e dai propositi soggettivi di mandante e mandatari.

    Lo stato di necessità, dunque, in tanto legittima il ‘governo del Presidente' in quanto ne circoscrive e vincola politicamente il campo d'azione. Certamente alcuni ministri (non economici) saranno tentati, come singoli e come parti di un collegio, di operare al di là di una lungimirante ‘ordinaria amministrazione', già in sé complicata, per introdurre linee e stili propri; ma saranno fermati nel Parlamento, ora da un suo fronte ora da un altro. La tentazione di giocare su due e più forni sarà forte (la legge A con la sinistra, la B con la destra, la C con maggioranze occasionali) ma incompatibile col Notfall legittimante e istituente. Monti deve realizzare o porre su binari inequivoci solo quanto gli schieramenti politici, perversamente sensibili ai loro elettorati, non vorrebbero o potrebbero fare, come si è dimostrato. Il sovrappiù sarà un singolare ‘abuso di autorità'.

    Pietro De Marco

    Caro professor De Marco, lei mi scrive cose intelligenti e profonde, ma questo è un momento in cui bisogna stare alla superficie delle cose, che spesso come lei sa è il loro cuore. Non si può arzigogolare schmittianamente sullo stato d'eccezione, non siamo a Weimar, la situazione è gravissima ma non è serissima, al posto della sovranità d'emergenza, di cui si vede solo il carattere lentocratico nella decisione e nella presa d'atto dell'eccezione, c'è una sciagurata scelta di rinuncia unanime all'esercizio della sovranità democratica nella sua forma elettorale e di mandato, una rinuncia solo coordinata da un'istituzione, la presidenza della Repubblica, che sta lì per questo e fa il suo mestiere visto che in quasi vent'anni nessuno ha modificato secondo il senso storico del maggioritario il sistema e le parti in commedia (anzi, una modifica lodevole fu bocciata via referendum in un paese isterizzato dall'emergenza unitarista e antilega). Il contenuto della resa alla democrazia sospesa, che superficialmente intendo come formazione di un governo e di una maggioranza parlamentare virtualmente tripartita, alle spalle del corpo elettorale rinnegato nel suo potere di decisione, è il nostro solo e unico problema, tutto il resto deriva di lì. Che l'accaduto sia accaduto non con la sovranità sullo stato d'eccezione, ma con una perdita secca di sovranità nazionale a favore del fragile governo del Bund tedesco, la governace intesa come die neue Gestalt deutscher Macht, la nuova forma del potere tedesco in Europa, è un'aggravante decisiva che rende a mio giudizio impalatabile il suo generoso tentativo di metterci una pezza.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.