Tutti a casa. E ora?
Tutti a casa. Il 25 luglio dell'imbavagliamento del tiranno e l'8 settembre del Parlamento dei nominati che vara il governo dei nominati hanno preso rilievo plastico in una sola giornata, quella di ieri, triste solitaria e finale. Ma la vita continua. Siccome la fissazione è peggio della malattia, come dicono i siciliani d'alto mare, dalla prossima settimana smetteremo di ripetere la nuda verità civile, politica, culturale e morale rivelata dalla disfatta della democrazia politica in Italia.
Tutti a casa. Il 25 luglio dell'imbavagliamento del tiranno e l'8 settembre del Parlamento dei nominati che vara il governo dei nominati hanno preso rilievo plastico in una sola giornata, quella di ieri, triste solitaria e finale. Ma la vita continua. Siccome la fissazione è peggio della malattia, come dicono i siciliani d'alto mare, dalla prossima settimana smetteremo di ripetere la nuda verità civile, politica, culturale e morale rivelata dalla disfatta della democrazia politica in Italia. Smetteremo di censurare ogni due per tre, sebbene il giudizio su questo dato originario sia per noi inappellabile, il rigetto del pericoloso voto popolare, la formazione di un governo del Preside, la grave diminutio di sovranità imposta al paese, la sobria prospettazione di una fase in cui loschi negoziati sottopelle (ha già cominciato Enrico Letta con i suoi bigliettini a Monti) sostituiranno a destra e a sinistra ogni residuo spettro dell'Italia bipartisan e bipolare. Si aprirà una fase forse anche peggiore della torva guerra civile in cui vizi e controvizi nazionali ci hanno immerso per tanto tempo, ma appunto la vita continua e, detto quel che si doveva dire in per tenere la testa sopra il pelo dell'acqua in una marea di opportunismo fradicio, bisognerà ridare all'analisi, alla comprensione della realtà, il peso che le spetta in un piccolo giornale d'opinione.
Per portarci avanti con il lavoro, segnaliamo subito che ieri hanno parlato in successione Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, e Mario Monti, Preside del Consiglio di Facoltà italiano. Naturalmente hanno parlato in tedesco, e hanno detto all'unisono che la crisi dell'eurodebito non si cura con una banca prestatore di ultima istanza, che stampa la moneta necessaria a debellare l'aggressione dei mercati ai titoli pubblici di paesi indebitati, espressi in euro (Italia, Spagna, e sullo sfondo la Francia), ma rimettendo in carreggiata quelle economie. Da un lato con l'elemosina del fondo europeo salva-stati, dall'altro con ingenti prelievi sociali capaci di raddrizzare le curve di sviluppo dei debiti stessi a medio e lungo termine. Questo significa che il governo Rajoy, legittimato dal voto spagnolo ed espressione di una cultura economica riformista-conservatrice, farà con dignità la sua parte in Spagna, dove Zapatero ha lasciato in eredità un'uscita ordinata dalla sua era politica e un testamento a favore di un'Europa diversa da quella accettata e governata da Mario Draghi per conto dei padroni effettivi della Banca di Francoforte, i tedeschi della Bundesbank. E al professor Monti non resta che provarsi a fare la stessa cosa in Italia, alle prese non con una maggioranza espressa dal voto, ma con una politica virtualmente dissolta e disponibile a molti compromessi in nome della fine del populismo berlusconiano (che si limiterà a funzionare da spauracchio e da alibi per menare le mani). Non è un lavoro facile, non invidiamo il Preside. Tra il varo di riforme liberali in queste penose condizioni e l'avvio di una bella recessione deflattiva, con il contorno di retoriche corporative capaci di giustificare con nuove tasse la lotta all'iniquità sociale, il passo è breve. Speriamo che ci provi, a non varcare quel confine, ma crediamo che non ci riuscirà.
Il Foglio sportivo - in corpore sano
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