Fiacco esordio del Preside. Non una parola sulla grande crisi europea
Spiace doverlo dire, non per ipocrisia, ma la discesa degli onest'uomini nell'areopago, e il discorso da incaricato di pubblico servizio del Preside del Consiglio, è stata una prova estremamente deludente. Il professor Monti promette di rimettere l'Ici sulla prima casa e di disboscare qualche privilegio previdenziale, e sono promesse di contenuto finanziario e fiscale modesto; promette inoltre vaghezze riformiste e liberalizzanti sul mercato del lavoro, insieme a carrettate di parole vuote su equità, donne e giovani.
Spiace doverlo dire, non per ipocrisia, ma la discesa degli onest'uomini nell'areopago, e il discorso da incaricato di pubblico servizio del Preside del Consiglio, è stata una prova estremamente deludente. Il professor Monti promette di rimettere l'Ici sulla prima casa e di disboscare qualche privilegio previdenziale, e sono promesse di contenuto finanziario e fiscale modesto; promette inoltre vaghezze riformiste e liberalizzanti sul mercato del lavoro, insieme a carrettate di parole vuote su equità, donne e giovani. Distribuisce ringraziamenti eleganti ma un po' untuosi, parla un linguaggio umile e dunque interessante, ma solo per dire ovvietà politicamente inadeguate all'emergenza di cui è figlio il suo governo tecnico di sospensione della democrazia.
Il Preside non ha nemmeno tentato di dare un orizzonte non burocratico, non minimalista, al suo esordio come tecnocrate. Non ha svolto alcuna considerazione schietta e politicamente avveduta sulla crisi di governo europeo della moneta comune, sulle ragioni per cui, dopo la demonizzazione del suo predecessore, la nuova compagine si ritrova a chiedere la fiducia delle Camere con i titoli pubblici italiani nella solita situazione di sudditanza all'aggressività dei mercati (quota 530), con i grandi paesi europei sempre più afflitti dallo stesso male, con la Germania divisa sul da farsi e sempre più dubbiosa su questa gretta difesa dell'interesse nazionale a spese dei partner di un progetto tradito, con l'America dell'intelligenza e della politica, unita all'Inghilterra, stordita dall'incapacità europea di capire che la prima misura da varare riguarda la Banca centrale di Francoforte e la sua cronica incapacità, addirittura statutaria, di difendere l'economia finanziaria del continente dichiarandosi prestatore di ultima istanza. E' rimasto entro la solita cornice retorica dell'euro come progetto strategico a cui è legato il futuro dell'Europa. Non può far sognare nessuno, e non può dare all'Italia la dignità di paese fondatore, una citazione di De Gasperi sottolineata e un riferimento intimidito a interessi nazionali franco-tedeschi che possono distorcere il senso di un cammino comune comunitario.
E' veramente tragico che un uomo intelligente e colto, che negli editoriali del Corriere era capace a volte di dire verità scomode, si sia rassegnato a una compilazione di luoghi comuni. Siamo certi che il governo tenterà di fare qualcosa, se non altro per giustificare la propria esistenza in vita, e non si limiterà alle solite tiritere dei soliti discorsi di presentazione in Parlamento degli esecutivi mediocri (con l'eccezione del fenomenale discorso sulla crescita, restato lettera morta, fatto da Berlusconi alle Camere nel 2008). Siamo certi che uno sforzo ci sarà, che si renderanno conto, quelli del Consiglio di facoltà insediato al vertice dello stato, che di timidezza si muore, specie nelle fasi di emergenza, specie quando si è promossi ad alti destini politici dalla speranza di realizzare quel che è dovuto. Non è con i paternoster, non è con i convenevoli che si governano le grandi crisi.
Il governo Monti si trova in una situazione drammatica. Confindustria e sindacati sono alleati, un'alleanza da cui si è chiamato fuori con Marchionne l'ultimo grande gruppo industriale che promette, ma è una promessa che sta diventando sempre più evanescente, di investire in questo paese e di creare lavoro e valore, a patto di non essere intramato nelle relazioni sindacali e di lavoro che sono state l'origine maggiore della mancata crescita nazionale. Ma il professore, a parte una vaghezza riformatrice e liberale, non ha proposto un patto sociale per la produttività e il lavoro, non ne ha definito i contorni politici e di relazione, non ha affrontato il nodo che rischia di strangolare nella culla i suoi vagiti accademico-riformisti. Oltre ai suoi editoriali, Monti dovrebbe rileggersi quelli del suo e nostro amico Francesco Giavazzi, per capire la portata delle scelte sociali che lo attendono. Altro che bolsaggini sull'equità. Non ci crede nessuno, all'equità declamata e declinata con la minaccia di una patrimoniale sugli immobili. Roba vecchia, da lotta di classe del secolo scorso, di due secoli fa. Gli italiani, dai giovani illusi in corteo contro le banche all'uomo comune che sopporta tutto, pensano che questo governo serva semplicemente a dare loro qualche iniqua bastonatura mettendo i partiti al riparo dalla loro rabbia.
Politicamente, il discorso era addirittura nullo. Un signore distinto, e a tratti anche modestamente simpatico, ha chiesto la fiducia in nome della restaurazione della dignità della classe dirigente, promettendo tagli generici ai costi della politica e un clima nuovo che dovrebbe salvare tutti. Una classe dirigente chiamata a farsi restaurare da una beauty farm tecnica, un lifting demagogico e fiacco senza analisi di ciò che è avvenuto, senza un discorso di storia e di politica sul significato dell'approdo tecnico che sospende la regola elettorale di ogni democrazia. Da un Preside si può accettare, o meglio da lui si deve subire, lo svuotamento di significato di un governo che nasce senza un senso politico. Ma da un Presidente del Consiglio dei ministri si vuole, tecnico o non tecnico, l'indicazione della natura dell'animale che ci si accinge a cavalcare.
Un governo del presidente, che si ritiene tributario del Parlamento ma ancor più tributario della missione extraparlamentare accordatagli dalle circostanze e dalle scelte del Quirinale, subite dai partiti? O il capo di un esecutivo che cerca la convergenza programmatica dei partiti che devono farlo vivere? E fino a quando, e con quali scelte in materie parlamentari e politiche che non possono espletarsi se non nel quadro di un accordo tra i partiti? Ed è possibile che chi ha chiesto senso dello stato non abbia trovato una parola, una parola sola, per definire la provvisorietà, e la drammatica necessità dal suo punto di vista, di agire e governare a prescindere dalla legittimazione degli elettori? Abbiamo un areopago inconsapevole del fatto che in tutta Europa i paesi in crisi votano le loro soluzioni, nella responsabilità e libertà delle scelte dei popoli, e in Italia no? Pensa il professor Monti che questo non sia un problema?
Il capo del governo avrebbe dovuto dire poche semplici cose: Berlusconi non era all'origine della crisi finanziaria, come dimostrano i dati; io lavoro per risolvere i problemi determinati dalle sue responsabili dimissioni, non per fare pasticci e poi candidarmi alla guida di un centrosinistra antiberlusconiano allargato, e il mio è un lavoro a termine perché sono fiducioso nella democrazia; sindacati, Confindustria e altre corporazioni sappiano che cercherò il consenso del Parlamento per scardinare il blocco che essi frappongono alla crescita di una moderna economia capitalistica; questi sono i modi e i mezzi di cui mi servirò, queste le idee, e se non andranno in porto le misure in cui credo da una vita mi toglierò di mezzo e denuncerò la cosa al paese tutto.
Non ha detto nessuna di queste cose, il professor Monti; ha fatto il postino, appunto l'incaricato di pubblico servizio, di un vago e periclitante liberalismo d'accademia. Pessimo esordio.


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