Spread, la grande menzogna è saltata
Proposta: fiducia a Monti solo se dice di no a una Bce tedesca
La grande menzogna è saltata. In modo drammatico, ora per ora. I numeri dicono che l'attribuzione di una crisi del debito italiano alla credibilità fragile del governo Berlusconi era una mascalzonata propagandistica di cui gli italiani potrebbero essere chiamati a breve a pagare il conto. Non era così. Il debito pubblico aggredito non è solo quello italiano, e il contagio riguarda tutti, è una malattia destinata a diventare cronica e poi rovinosa del sistema della moneta comune europea.
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La grande menzogna è saltata. In modo drammatico, ora per ora. I numeri dicono che l'attribuzione di una crisi del debito italiano alla credibilità fragile del governo Berlusconi era una mascalzonata propagandistica di cui gli italiani potrebbero essere chiamati a breve a pagare il conto. Non era così. Il debito pubblico aggredito non è solo quello italiano, e il contagio riguarda tutti, è una malattia destinata a diventare cronica e poi rovinosa del sistema della moneta comune europea. Basta vedere non soltanto i rendimenti pazzeschi dei titoli pubblici italiani, incuranti dei protocolli dei tecnocrati alla vigilia dell'insediamento a Roma, ma anche quelli francesi, spagnoli, olandesi, austriaci, per non parlare della rotta greca e di quella, a ruota, dei portoghesi. Basta vedere la situazione delle Borse, che non conoscono più nemmeno i rimbalzi delle settimane scorse, con grandi aziende competitive come Finmeccanica buttate nel cesso dei ribassi dall'azione congiunta della demagogia giudiziaria e dell'inettitudine di stato. In Germania si discute ormai apertamente la ristrutturazione del sistema dell'euro, una sorta di moneta comune a doppia fascia, A e B, dunque il declassamento virtuale di paesi membri dell'alleanza monetaria, una svolta di imprevedibili conseguenze, che si vorrebbe governare come un raddoppio franco-tedesco del commissariamento italiano. E che politici tedeschi dalla lingua lunga definiscono come una germanizzazione culturale dell'economia europea.
In questo quadro avanza la follia nostra, arcitaliana. Non si vota e non si governa l'emergenza. Anzi, il governo dell'emergenza, il governo tecnocratico-politico in formazione, questo ibrido dai confini sempre più opachi, procede a consultazioni degne della Prima Repubblica e dei suoi fallimenti che crearono e coccolarono la marea montante del debito pubblico che ci ritroviamo sulle spalle. Siamo alla solita farsa delle danze con le parti sociali, a parte il ridicolo dei giovani e delle donne, con alcuni club convocati a simbolo di una inesistente società civile. Il governo del Preside nasce tra vociferazioni grottesche sul totoministri, con il tentativo di assicurargli una guarentigia lobbistico-politica di buona caratura. Si inseguono decisioni e valutazioni che non hanno niente a che vedere con la realtà, in una gestione accademica, burocratica e piccolo-politica delle cose.
Formuliamo una proposta, questa sì di emergenza. Visto che i due partiti decisivi, il Pd e il Pdl, hanno deciso improvvidamente una soluzione che già declasserebbe l'Italia a democrazia minore, svuotata di senso, almeno ci sia un soprassalto di intelligenza e di amore per il paese. Berlusconi e Bersani si incontrino direttamente, invece di delegare ai loro portaparola future nebbiose mediazioni, e dicano con chiarezza che questo governo può nascere, può ottenere la fiducia in Parlamento, solo e soltanto se il primo punto delle sue dichiarazioni programmatiche sarà che l'Italia chiede perentoriamente, con un calendario sicuro e ravvicinato, la trasformazione immediata della Banca centrale europea in prestatore di ultima istanza.
E' la soluzione d'emergenza consigliata dai campioni della scienza economica mondiale, dai Paul Krugman e dagli Adam Posen e da molti altri. E' la soluzione americana, inglese, la soluzione che non ha una matrice liberista, per dirla nel linguaggio ideologico caro agli stolti, ma keynesiana. E' la soluzione unica, di buon senso, che può prevalere sull'attacco congiunto dei mercati speculativi a un debito sovrano che è perfettamente solvibile nel caso dell'Italia e della Francia, ma che paga il prezzo tedesco di una moneta, in cui il debito è espresso, costretta nella prigione della paura di Weimar e dell'inflazione, il mostro inesistente. Perfino in Germania alcune forze finanziarie e sociali se ne stanno accorgendo, che quello è il problema.
La crisi si mangia i tecnici e l'insieme dell'economia finanziaria italiana per l'insipienza con cui Berlino ha preteso di controllare con l'aspirina il debito greco e, a ruota, la guerra per gli interessi crescenti scatenata sugli altri debiti pubblici. Il New York Times ha parlato di un “miserabile fallimento” dei franco-tedeschi nella gestione della crisi. Se Berlusconi e Bersani vogliono far qualcosa per il paese, se il presidente della Repubblica si è preso la responsabilità di farsi garante di un accordo che non prevede elezioni politiche, se la scelta è quella, che almeno questo governo privo della legittimazione popolare nasca da un accordo fondamentale, da un patto bipartisan d'emergenza vera fondato su un riscatto della nostra politica estera ed economica comunitaria.
Tutto si può sopportare, alla fine. Perfino un inganno politico-istituzionale. Anche un grave errore di metodo e di sostanza, che esprime una sfiducia della classe dirigente prima di tutto verso sé stessa, ma non si può sopportare una così patente, colossale abdicazione alla sovranità politica, che nella moneta e nella spada e nella giustizia, tre terreni sui quali sono state fatte le peggiori scorrerie e le peggiori scorrettezze, ha il suo fulcro.
Svegliatevi, cari Berlusconi, cari Bersani, cari Napolitano. Dite la verità in prima pagina, cari direttori di giornali. Senza una seria rivolta italiana in Europa contro il cattivo governo della crisi, dietro al quale c'è il grave problema del debito privato e dei titoli tossici e della imminente crisi bancaria a Parigi e a Berlino, senza di questo la nascita del governo Monti, il governo del Preside, sarebbe un atto di viltà politicista ancora più grave.
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