Il governo del preside, il consiglio di facoltà
Monti ha presentato il suo governo. Un gruppo di onest'uomini, con qualche notevole sentore di trasversalismo e di collegamenti indiretti con le lobby politico-economiche, si mette al servizio del nulla programmatico, che verrà illustrato in Parlamento a breve ma non è stato oggetto di una discussione nè con i cittadini (chiamasi campagna elettorale) né con i partiti (chiamansi consultazioni: quelle della Repubblica defunta nel 1993 erano in fondo una cosa più seria).
Monti ha presentato il suo governo. Un gruppo di onest'uomini, con qualche notevole sentore di trasversalismo e di collegamenti indiretti con le lobby politico-economiche, si mette al servizio del nulla programmatico, che verrà illustrato in Parlamento a breve ma non è stato oggetto di una discussione nè con i cittadini (chiamasi campagna elettorale) né con i partiti (chiamansi consultazioni: quelle della Repubblica defunta nel 1993 erano in fondo una cosa più seria). Ci ricrederemo, come abbiamo scritto ieri, almeno in parte, quando il professor Monti nella sua sobrietà ci dirà in modo impegnativo quel che abbiamo proposto ai partiti sconfitti e malmostosi di esigere da lui: lo schieramento immediato del governo italiano per una Banca centrale europea capace di fare il suo mestiere, e non quello della Bundesbank, ovvero difendere il debito sovrano della zona euro dalla aggressività impazzita dei mercati.
Ieri, bella sorpresa, abbiamo letto su Repubblica un giudizio convergente dell'editorialista Barbara Spinelli, e pubblichiamo all'interno un appello di economisti liberal e di sinistra che va nella stessa direzione, si mobilita contro la mortifera austerity, spiega che l'origine dei guai nonostante tutto non è il governo Berlusconi, e pretende un contrasto italiano all'eurogermanizzazione. Ma la cosa più bella era firmata sull'edizione europea del New York Times dalla agenzia internazionale Reuters.
Sentite qui. Dopo aver spiegato che gli inglesi in quanto a debito stanno messi male da paura, ma che i loro titoli rendono qualcosina sopra il 2 per cento, mentre i nostri rendono tra il sette e l'otto per cento, mistero, la nota della Reuters aggiunge: dipende tutto dal fatto che a Londra c'è la Bank of England che fa il suo mestiere, mentre in Italia i titoli espressi in euro, moneta “comune”, sono governati da un asse franco-tedesco e dalla sua banca antinflazione che non si dichiara prestatore di ultima istanza. Dopo aver dichiarato questo, Reuters aggiunge: “Molti leader mondiali ed economisti sanno che è questo che la Bce dovrebbe fare. Ma il rifiuto della terapia d'urto da parte di Francoforte ha spinto l'Italia nella direzione giusta. Silvio Berlusconi non è più il presidente della paralisi. Mario Monti, il nuovo primo ministro, ha la possibilità di affrontare i problemi di fondo”.
Non era stato ancora mai detto così chiaramente e spudoratamente. Questo governo tecnico nasce sulle rovine di quello politico che lo precede, e nasce senza una prova elettorale, perché i “world leaders” hanno deciso in questo senso, e hanno fatto una manovra bancaria sul credito italiano, sul rendimento dei nostri titoli pubblici, allo scopo di cambiare il governo, emancipandolo dalla tutela della democrazia elettorale. Il colpo di mano lo spiega un'agenzia autorevole, senza tante storie.
Accettare questa situazione è improponibile per la decenza politica, culturale e civile di un grande paese. Servirebbe un'opposizione intransigente, un no che suoni riscatto e speranza. Ma non avremo niente di tutto questo, né da Berlusconi, che bada al sodo e tira diritto verso un declino inglorioso, né da Bersani, che ha buttato a mare in un fiat anche solo la possibilità di dare un'identità alternativa nel confronto bipolare al suo partito.
Una sola possibilità resterebbe per non dovere oggi constatare che un Parlamento di nominati, così lo definisce la vulgata anticasta, vota al buio la fiducia a un governo di nominati, che la vulgata anticasta invece giudica sobri e competenti: questa possibilità è la perentoria richiesta al governo, per il voto di fiducia, di una immediata e ferma iniziativa italiana verso il direttorio franco-tedesco per fare quel che tutti sanno fermerebbe la crisi del debito. Ma non lo faranno.


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