Le elezioni subito, naturalmente
Le elezioni subito, naturalmente. Oggi, 4 novembre, doveva essere il giorno della vittoria (e anche il giorno della verità). Misure economiche di secca e inaudita radicalità, un decreto legge di riforme liberali che stravolge la malattia cronica di economia e società italiana. Firmato Berlusconi. Garantito dai poteri sovranazionali europei. Necessario e urgente, i suoi specifici requisiti. Le opposizioni messe di fronte alle loro responsabilità. Basta fanghiglia. Basta retorica. Basta demagogia.
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Le elezioni subito, naturalmente. Oggi, 4 novembre, doveva essere il giorno della vittoria (e anche il giorno della verità). Misure economiche di secca e inaudita radicalità, un decreto legge di riforme liberali che stravolge la malattia cronica di economia e società italiana. Firmato Berlusconi. Garantito dai poteri sovranazionali europei. Necessario e urgente, i suoi specifici requisiti. Le opposizioni messe di fronte alle loro responsabilità. Basta fanghiglia. Basta retorica. Basta demagogia. Rimboccarsi le maniche sul serio. Abbandonare i sogni di ribaltone mascherato. Mettersi a preparare un'alternativa di governo e di programma per la fine della legislatura.
Troppa grazia. Hanno fucilato il firmatario. Gli hanno impedito di decidere, di agire. Lo hanno paralizzato. Le opposizioni sono pronte a sparare, ma non a governare. Sono divise su tutto, le unifica il “no” – ormai un “no” cataclismatico, apocalittico – al solo nome e alla sola figura di Berlusconi. Pensano che finché resterà in piedi il maggioritario reale, l'unica ma grande riforma inverata e impersonata dall'outsider, non ci sarà mai trippa per gatti.
Alle opposizioni si è aggiunto Tremonti, un altro che non fa il proprio mestiere, un molesto cinicazzo di cui sbarazzarsi al più presto e per sempre, che ha saputo fare l'avanzo primario, ma non ha saputo che farne nell'interesse del paese, e alla fine (alla fine?) si è messo a tramare contro se stesso e a berciare scemenze alla festa della zucca di non-so-dove. Napolitano non c'entra poi molto. Non doveva riceverlo e avallare il suo diniego di un decreto urgente? Il presidente della Repubblica è un arbitro, ha esercitato la funzione di pilastro di un equilibrio malfermo per mesi, alla fine la crisi politica e quella economica si sono avvitate, non poteva non sentire il superministro dell'Economia. Non doveva aprire consultazioni informali e, alla fine, sconsigliare un decreto legge? Via, se Stracquadanio e Bertolini firmano lettere contro il governo, se il governo ha premiato la rissa La Russa-Fini perdendo la maggioranza alla Camera, se se se se, ma che volete che faccia il capo dello Stato con i titoli pubblici allo sbando e il grande assedio che ha aperto una breccia nelle mura del governo in carica?
Ormai c'è una sola via d'uscita. Sempre che s'intenda la qualità dello scontro. Che non è sulle feste galanti. Non è sull'età di Berlusconi. Non è sulla libido di potere, legittima, e vorrei vedere, dei suoi arcinemici. Non è nemmeno, patrimoniale a parte (e non è un dettaglio), sulle politiche necessarie alla ripresa e al risanamento di un'economia ricca e di un paese gagliardo ma intrappolato nella logica perversa di un'area euro che per ragioni tedesche non si vuole difendere con saggezza. Il vero punto è: consociativismo e piagnisteo oppure maggioritario e ottimismo e riforme che squillano, che reinnescano qualcosa, che ridanno il gusto dell'azzardo sul futuro. Il vero punto è: esiste ancora un popolo elettore in grado di decidere o dobbiamo tornare a logiche oligarchiche e parruccone?
Che Berlusconi abbia sbagliato quasi tutto questo giornale può dirlo perché i suoi sconsigli amorevoli li ha dati per tempo. E anche i consigli. Ma non è quello il problema: un Berlusconi che non sbaglia la mossa in politica è una contraddizione in termini, sarebbe un professionista del ramo e non lo è, e il suo carattere è mite e il suo gruppo dirigente come il suo staff è permeato di uno spettrale andreottismo e doroteismo di ritorno, molta brava gente e leale impegnata in una fiera delle vanità e delle velleità. Berlusconi è ancora oggi, checché se ne dica, la cosa giusta, la persona giusta, la visione giusta, la pratica e l'immagine giusta che fa le cose sbagliate nel teatro politico, e nella guerra inaudita di cui è stato protagonista e vittima. Ora tutti fuori dal teatrino, la verità e il giudizio del paese. Qui il Cav. sa giocare bene.
Non c'è alternativa. Deve chiedere le elezioni prima di cadere malamente, deve spiegarsi e affrontare ogni contraddittorio possibile, deve agitare l'atto mancato, il decreto-Europa, come una bandiera. E come una bandiera di serietà e responsabilità e libertà deve fare liste a prova di bomba, cacciare via i malmostosi inutili e reimbarcare quelli utili, cercare alleanze nordiste serie, allargare il fronte anche ai dissidenti di oggi in un simbolo elettorale polarizzato, convincente, al di fuori del quale ci sia praticamente il nulla. Poi deve battersi. Se vince, vince e nulla sarà più come prima, sia detto magari con un eccesso di ottimismo. Se perde, ci sarà una minoranza di blocco possente, capace di impedire che si torni indietro di vent'anni e di organizzare, a quel punto anche con un cambiamento di leadership che sia un'uscita ordinata e forte dal vecchio modulo del berlusconismo. E intanto dovrebbe dire che per quanto lo riguarda la rielezione di Napolitano è cosa fatta.
Questa è lotta politica, illuminata da qualcosa che assomiglia a un criterio di verità e di utile, anche e soprattutto per questo paese. Elezioni sotto la neve, spiazzamento generale. Ve la deve dare lui la soluzione alla Zapatero, ve la deve dare. E vediamo se rimettete in piedi una specie di governo Dini, fucilatori e mezze figure del partitone parruccone.
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