Piano con l'effetto Libia a Damasco

Daniele Raineri

Giovedì i clacson strombazzavano in festa per le vie del Cairo, suonavano, cioè, più di quanto già non facciano giorno e notte seguendo accenti e sincopi demenziali. La festa per la fine di Gheddafi è un avvertimento truce ai dittatori che resistono, Bashar el Assad in Siria e Ali Abdullah Saleh in Yemen: quanto più la reazione contro le proteste è violenta tanto più la fine diventa terribile. “Vorrei essere a casa Assad oggi per sentire di cosa parlano a colazione”, è la malevolenza più facile da raccogliere in giro. Le elezioni di Tunisi, domani, diventano il traguardo concreto a cui aspirare.

Leggi Le pretese dinastiche di un liberatore che non conosceva la libertà di Alessandro Giuli - Leggi Onore e armi in pugno. Come sanno morire i nostri nemici, nessuno di Pietrangelo Buttafuoco

    Il Cairo, dal nostro corrispondente. Giovedì i clacson strombazzavano in festa per le vie del Cairo, suonavano, cioè, più di quanto già non facciano giorno e notte seguendo accenti e sincopi demenziali. La festa per la fine di Gheddafi è un avvertimento truce ai dittatori che resistono, Bashar el Assad in Siria e Ali Abdullah Saleh in Yemen: quanto più la reazione contro le proteste è violenta tanto più la fine diventa terribile. “Vorrei essere a casa Assad oggi per sentire di cosa parlano a colazione”, è la malevolenza più facile da raccogliere in giro. Le elezioni di Tunisi, domani, diventano il traguardo concreto a cui aspirare. Il grande arabista della Stanford University, Fouad Ajami, citato ieri da Maurizio Molinari sulla Stampa, dice che ora naturalmente “il pensiero di tutti è rivolto a Damasco”. Ogni venerdì le proteste in Siria hanno un nome diverso, ieri è stato il venerdì del “Dopo Gheddafi vieni tu, o Assad”. I ribelli in rivolta sono galvanizzati dal linciaggio di Sirte e si specchiano in quelli libici, ne agitano la bandiera verde bianca e nera nei quartieri di Hama e di Damasco – dove ieri sono morti in tredici, uccisi dai soldati – e ne sono ricambiati con il riconoscimento della loro leadership, da Consiglio degli insorti a pari Consiglio degli insorti. Devono aver lavorato anche di notte i siriani per esporre dopo la preghiera del mezzogiorno l'enorme bandiera, rossa a caratteri dorati: “Kalt Gaddafi attaszu aulal al baeb”, la morte di Gheddafi è la miglior predica a tutti i potenti. Lo stesso presentimento fatale lega Assad a Gheddafi, tanto che gli ultimi proclami del rais in fuga sono stati trasmessi da un canale siriano messo a disposizione da Damasco.

    Al netto dell'effetto galvanizzante
    sulle piazze però, le analogie tra i due paesi si fermano qui. Sono misure non comparabili. Anzi, la Libia potrebbe essere un precedente negativo per la Siria: Cina e Russia stanno bloccando le sanzioni economiche internazionali contro Damasco perché sono rimaste scottate, si sentono tradite dalla distorsione plateale che la Nato ha fatto della risoluzione 1.973. La risoluzione autorizzava l'uso della forza per proteggere i civili, ma si è fin da subito allargata, fino al capitolo finale – di certo non autorizzava la caccia centimetro per centimetro con i droni fino a eliminare il rais libico (c'è chi sostiene pure che una squadra speciale straniera sia arrivata per prima sulla strada dov'era Gheddafi e lo abbia consegnato alla sua fine tra i ribelli di Misurata, quelli che lo avevano più in odio per l'assedio subito). Ed è ancora più diversa la composizione della nazione: se la Libia è divisa tra clan rivali, che dire della Siria dove le minoranze religiose stanno apertamente con il regime?

    C'è infine da considerare il risultato finale. In Libia il rais non aveva grandi alleati. Gheddafi sarà rimpianto in Mali e Niger, suoi grandi beneficati, ma sarà sostituito senza immediati scossoni nel mondo. Faceva parte della tranche africana e meno importante della rivoluzione araba. La tranche mediorientale è tutta un'altra cosa. L'Iran non vuole la caduta del regime siriano. Il governo di Baghdad non lo vuole lo stesso, e così quello del Libano. Persino Israele, che preferisce un nemico sicuro alle incognite di una destabilizzazione universale, non vuole cambiamenti. Non chiedetevi per chi stia suonando il clacson, pensa Assad. Non è per me.

    Leggi Le pretese dinastiche di un liberatore che non conosceva la libertà di Alessandro Giuli - Leggi Onore e armi in pugno. Come sanno morire i nostri nemici, nessuno di Pietrangelo Buttafuoco

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)