Oggi contrattacco o morte
I sassi italiani sanno quel che sanno gli italiani in carne ed ossa: gli incidenti parlamentari, anche gravi, sono una cosa diversa dalla sfiducia ai governi. Alla seconda non si rimedia che con le dimissioni rassegnate nelle mani del presidente della Repubblica, ai primi rimedia l'intendenza, eventualmente con un passaggio che rinnova e certifica l'esistenza della fiducia al governo. E' quello che deve immancabilmente succedere nella giornata di oggi. E' quello che forze invadenti, intrusive delle prerogative del capo del governo, del Parlamento e del capo dello stato, vogliono impedire che accada.
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I sassi italiani sanno quel che sanno gli italiani in carne ed ossa: gli incidenti parlamentari, anche gravi, sono una cosa diversa dalla sfiducia ai governi. Alla seconda non si rimedia che con le dimissioni rassegnate nelle mani del presidente della Repubblica, ai primi rimedia l'intendenza, eventualmente con un passaggio che rinnova e certifica l'esistenza della fiducia al governo. E' quello che deve immancabilmente succedere nella giornata di oggi. E' quello che forze invadenti, intrusive delle prerogative del capo del governo, del Parlamento e del capo dello stato, vogliono impedire che accada con una folle deriva para-aventinista (sul colle dell'Aventino le opposizioni al fascismo nascente si ritirarono per cercare di fermare la valanga, con effetti controproducenti, tra l'altro). Tutto il resto di quel che deve accadere oggi, con un legittimo voto di fiducia (se ci sarà) e l'inizio di una sanatoria del voto sul rendiconto dello stato (che deve seguire), è mero intrallazzo, piccola manovra di palazzo, sfida alle regole di una democrazia matura e adulta del maggioritario quale è la nostra.
Il presidente della Camera, che è un uomo politicamente alla deriva, pronto a ogni incombenza e a portare ogni fardello trasversale dopo essere stato malaccortamente cacciato dal suo partito e averne fondato un altro più malaccortamente ancora, è stato il perno della manovra regolamentare e del grande cavillo che dovrebbero stritolare per umiliazione Berlusconi, il suo fraterno e inarrivabile nemico assoluto. Rinviare le comunicazioni del governo, che in termini di urgenza potevano essere fatte già ieri pomeriggio (aggiornando il solo voto di fiducia come prescrive la norma), è stato il modo di garantire il dispiegamento della strategia mediatico-parlamentare di accerchiamento: come gli indiani, ma non quelli orgogliosi e mistici che avevano ragione, quelli feroci e ciechi che si misero dalla parte del torto contro i coloni. C'è sempre una marea di esperti parrucconi in grado di dimostrare l'impossibile politico in veste iper-formale, in questo paese di fragile democrazia politica e di forti oligarchie burocratiche. Bisogna strappargli la parrucca.
Berlusconi ha una sola possibilità, non due. Deve tenere duro, parlare con franchezza, lasciare che la cosa decisiva venga alla luce in modo chiaro. Non ci sono alternative a questo governo, punto. Si va al 2013, punto. Si fanno le cose che si devono fare, punto. Bisogna che il presidente del Consiglio, con animo sereno e forte, si renda conto del fatto che il modo scelto per abbatterlo è la diminuzione della sua figura personale nella strategia della calunnia, la più barbarica. Era estorto, è diventato depistatore, ma ora sta per ridiventare estorto nel viaggio dell'oca dell'inchiesta Napoli-Bari che ha visto protagonista un Lavitola e due Tarantini, gente sbattuta in galera con il retropensiero di usare la carcerazione preventiva per cambiare governo.
La magistratura, che l'improvvido procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore, alla testa di un pool che ha chiesto e ottenuto arresti che non dovevano essere chiesti per “mancanza di gravi e concordanti indizi” (magistratura di Bari, ieri), dovrebbe fasciarsi la testa con le pezze fredde e ricorrere al suo leggendario humour, invece di denunciare gesticolando vanamente l'attacco del governo alla sua sede di Castel Capuano.
Berlusconi può insegnare a tutti come ci si debba comportare nell'emergenza. Vorrebbero che si comportasse come il compianto Giovanni Goria, che mise fine a un governicchio primorepubblicano senza legittimazione maggioritaria per un incidente parlamentare simile a quello occorso l'altro ieri. Tra quel tempo e questo c'è la differenza tra la macchina per scrivere e l'iPhone o forse tra il pennino con calamaio e il computer. Volenterosi ricercatori con il senso della storia troveranno mille incidenti parlamentari, forse anche più gravi di questo – lo dico solo per la cronaca – le cui conseguenze non furono affatto le dimissioni del governo, ma una normale sanatoria parlamentare.
Il punto critico è più leguleio che politico, è un tentativo di pararsi dietro le istituzioni per impedirne il regolare svolgimento, che è poi tutto il senso del modo infame scelto per combattere Berlusconi, e difendersi dal fenomeno Berlusconi, in tutti questi anni. Un modo togato, corporativo, in cui forze varie (infine anche quei dormiglioni di Confindustria) si sono messe in fila per esibire una corona di “no” priva del requisito positivo, progettuale, necessario a ogni opposizione che sia “leale” come dicono gli inglesi. Chi non appronta un'alternativa politica credibile a un governo, e non affronta la “paziente attesa del giudizio del popolo”, come diceva Abramo Lincoln nel 1861 spiegando il significato della majority rule, è un nemico delle istituzioni, è un manipolatore, è qualcuno che fa della pedagogia negativa, cioè della pura demagogia.
L'Italia deve innestare la marcia della crescita, deve recuperare terreno e può farlo paradossalmente proprio in una situazione di incandescenza conflittuale. E' un momento fangoso e putrido, ma anche un momento magico, come sempre succede in politica. Ma occorre il fattore personalità. Nessuno seguirà fino in fondo Berlusconi se Berlusconi non garantisce di essersi riappropriato del primo stumento di comando politico democratico: la fiducia completa e totale in sé stesso, nella sua capacità, che nessun altro ha oggi in Italia, di fare quelle cose ovvie ma rivoluzionarie che tenterebbero penosamente di fare anche gli altri, ma in condizioni oggi inaccessibili al senso comune, perché il governo Berlusconi c'è e quello Antiberlusconi non è nemmeno lontanamente in cantiere.
La campagna ha preso anche una deriva violenta. Il poliziotto cattivo, il nostro amico Tonino Di Pietro, ha detto con la furbizia del contadino “scarpe grosse” che a lungo andare ci scappa il morto. E' quello che vogliono. Un morto in piazza equivarrebbe, nella loro moralità radicalizzata e impazzita, a un incidente parlamentare sul rendiconto dello stato.
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