Fiat, un partito rivoluzionario

Giuliano Ferrara

Questo giornale è partito con un sacco di dubbi sull'avvocato Sergio Marchionne. La sua squadra saprà fare modelli di auto competitivi? Come ha fatto questo avvocato-finanziere a fare i miracoli di ingegneria industriale che tutti conoscono, e cioè fare di un'impresa quasi fallita e di una famiglia di scavezzacolli la piattaforma per una azzardata e affascinante conquista a Detroit? Di che natura sono i suoi poteri eccezionali e transatlantici? Ma da un certo punto in poi, e non avevamo torto, ci siamo messi a dire: chissenefrega dei dubbi.

Guarda la puntata di Qui Radio Londra Viva Marchionne, il bolscevico - Leggi la lettera di Marchionne a Emma Marcegaglia - Leggi Tutti fuori dai sindacati

    Questo giornale è partito con un sacco di dubbi sull'avvocato Sergio Marchionne. La sua squadra saprà fare modelli di auto competitivi? Come ha fatto questo avvocato-finanziere a fare i miracoli di ingegneria industriale che tutti conoscono, e cioè fare di un'impresa quasi fallita e di una famiglia di scavezzacolli la piattaforma per una azzardata e affascinante conquista a Detroit? Di che natura sono i suoi poteri eccezionali e transatlantici? Ma da un certo punto in poi, e non avevamo torto, ci siamo messi a dire: chissenefrega dei dubbi, l'importante è che Marchionne sta diventando impopolare tra i panciafichisti di Confindustria e altri burocrati e mezze figure che si spacciano per imprenditori per via del suo tic o vezzo rivoluzionario. Era l'epoca in cui il capo operativo della Fiat si lanciava, solo e avversato da quasi tutti, nella grande campagna per importare un pezzo d'America in Italia, mentre si era comprato un pezzo di America sul lago Michigan (la Chrysler). Era l'epoca in cui i giornali “padronali” tacevano sulla effettiva rilevanza dei gesti di Marchionne, e tutti dicevano che ci marciava, che era il solito negoziatore scaltro, che avrebbe scambiato le sue idee su un nuovo sindacalismo, alti salari e occupazione e investimenti in cambio di nuove regole del gioco rispettose dei diritti dei produttori tutti, con i soliti vantaggi di stato. A destra e a sinistra in molti hanno fatto il giochino di spacciare l'ideologia di Marchionne come una falsa coscienza o addirittura un trucco (a parte quelli che i lavoratori li vogliono impietriti nelle relazioni sociali vagheggiate dal sindacalismo socialista-massimalista delle Camusso e da quello corporativo delle Marcegaglia). Noi no. Abbiamo detto e scritto: ma questo è uno che vuole fare la rivoluzione, almeno nel senso del nitore pacifico e della rilevanza e incidenza che questa parola può avere in bocca a un imprenditore che intende fare il suo mestiere nel mondo interdipendente in cui viviamo.

    La lettera con cui il capo della Fiat prende a schiaffi l'associazione degli imprenditori, con una sensibile gentilezza di modi e una durezza che fa impressione nel paese delle tarantelle e dei tarallucci, ci conferma nei nostri giudizi più maturi. Togliere ossigeno oggi a Confindustria, questa associazione di velleità e di impotenze e di opportunismi politici spinti, e una punta ridicoli, è un gesto bolscevico, per così dire. John Elkann non crede ai Grillismi imprenditoriali, e Marchionne si rivolta apertamente contro un gruppazzo di imprenditori che dimentica la propria funzione sociale e nazionale, che svuota le riforme con grottesche photo-opportunity insieme alla Cgil, che non sostiene i sindacalisti all'americana come Bonanni e anzi li isola, che scende in campo contro il governo di Berlusconi solo per raccordarsi in zona Cesarini a tutti i pasticcioni di una sinistra non alternativa e di un terzo polo che fa ridere. La lettera di Marchionne è stata preceduta dagli articoli di Giavazzi e di Ostellino, da rampogne ben assestate al ceto che edita il Corriere e che sembra sempre soggiogato dagli editori di Repubblica, nonostante il coraggio liberale di de Bortoli, che pubblica tutto come fanno i giornali seri. Non so se si uscirà e quando dal berlusconismo cosiddetto, cioè da un'anomalia felice che ci ha dato molto e forse ancora una spintarella per essere libero e senza complessi a questo paese la può dare, ma se se ne dovesse uscire, è bene che se ne esca così: rompendo il patto conservatore che imbriglia da decenni il paese, e di cui gli imprenditori non anomali, così diversi dai Berlusconi e dai Marchionne, che peraltro sono dissimili tra loro, fanno della loro normalità la leva pigra e indifferente con cui alla fine guadagnamo poco, non creiamo lavoro, rischiamo di non esportare più un tubo, e poi la borsa e lo spread e tutte le varianti di una moneta assurda in cui nessuno fa da prestatore di ultima istanza e da stampatore di nuovo conio in situazione di crisi. Marchionne fa l'americano nel senso migliore del termine, non vuole dipendere da un sistema chiuso in cui si premiano difettucci imbarazzanti come la trasformazione delle relazioni sociali in un sistema di diritti fissi, rigidi, difensivi, roba che non produce niente per i produttori, imprenditori e lavoratori, e che alimenta soltanto burocrazie infedeli al loro compito. Non un soldo né un soldato per questa Confindustria. Un bolscevico da ringraziare di cuore.

    Guarda la puntata di Qui Radio Londra Viva Marchionne, il bolscevico - Leggi la lettera di Marchionne a Emma Marcegaglia - Leggi Tutti fuori dai sindacati

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.