La crisi vista dal paradiso

Stefano Cingolani

Art. 1, comma 2. L'autorità è fondata sul re (presidente) e sul popolo. Essa viene esercitata da entrambi secondo le disposizioni di questa Costituzione”. Fermi tutti. Altro che “We the people”, come scrissero i costituenti americani. Una sovranità divisa, quindi una non sovranità, diceva già nel XVI secolo Jean Bodin. Il presidente, pur eletto dal popolo, diventa un suo pari. E il re non è una mera espressione dell'unità nazionale, trasmette il trono per via ereditaria e cogestisce il potere. Insomma, torniamo agli statuti, al 1848 o prima ancora.

    “Altruove si ragiona veramente del publico commodo, ma si attende al particolare. In questa da dovero si mira al ben publico, lasciando al tutto da parte ogni propio utile” (Tommaso Moro, “L'Utopia”)

    Art. 1, comma 2. L'autorità è fondata sul re (presidente) e sul popolo. Essa viene esercitata da entrambi secondo le disposizioni di questa Costituzione”. Fermi tutti. Altro che “We the people”, come scrissero i costituenti americani. Una sovranità divisa, quindi una non sovranità, diceva già nel XVI secolo Jean Bodin. Il presidente, pur eletto dal popolo, diventa un suo pari. E il re non è una mera espressione dell'unità nazionale, trasmette il trono per via ereditaria e cogestisce il potere. Insomma, torniamo agli statuti, al 1848 o prima ancora. Perché meravigliarsi? In fondo, è tutta farina di un principe, discendente da una nobiltà di spada che risale indietro nel tempo, fino al secolo Dodicesimo e si è conquistata il diritto di esistere e resistere dentro il Sacro romano impero germanico, ritagliandosi il suo piccolo spazio attorno a un castello tra le Alpi e la valle del Reno. Dunque, meglio leggere attentamente tutti gli articoli anziché farsi bloccare dal primo, perché Hans-Adam II, capo supremo del Liechtenstein, ha fatto un sogno. Sì, anche lui. E, avendone tutte le possibilità per nascita e per scelta, sta cercando di coltivarlo, scrivendo libri, presentandoli in giro per il mondo, muovendo le sue non limitate conoscenze. Trasformati i 35 mila sudditi negli uomini più ricchi del mondo, dopo 21 anni di regno, lascia il timone al primogenito Alois per dedicarsi agli studi, ai viaggi, alla collezione d'arte, una delle più famose del pianeta.

    Hans-Adam arriva a Milano guidando la sua Audi. “E' la prima volta e non conosco la città – racconta sorseggiando prosecco di Valdobbiadene – ma grazie al navigatore non mi perdo più”. Lo incontriamo lunedì 26 settembre durante la presentazione del suo singolare saggio sul governo ideale. Alto e sottile, ma non allampanato, in forma fisica perfetta, dal tratto soave che accompagna al ritegno aristocratico una borghese timidezza, ha percorso i 250 chilometri tra le Alpi e l'indomani tornerà nella sua Vaduz, sempre al volante come un commesso viaggiatore. La merce che offre non ha valore mercantile, se non il prezzo di copertina del volume edito dall'Istituto Bruno Leoni (“Lo stato nel terzo millennio”, 250 pagine, 20 euro). Ma ha un valore intellettuale che va ben oltre la curiosità. Il suo modello ha punti in comune con lo stato minimo alla Robert Nozick, però assomiglia più a uno stato-impresa che manda in sollucchero i liberisti integrali, di piccola taglia, quasi tascabile, composto di tanti comuni, perché “solo nello spirito della comunità si possono soddisfare le esigenze di tutti con il massimo di democrazia diretta”. Uno stato che perde il monopolio del territorio, perché migrare è un diritto inalienabile oltre che un'esigenza dell'uomo. Ma “affinché l'emigrazione sia davvero libera e volontaria, bisogna spostarsi con l'intero territorio, altrimenti si resta degli eterni sradicati”. Ciò è possibile solo con il diritto di secessione in base a una decisione popolare. Gianfranco Miglio avrebbe apprezzato. Umberto Bossi potrebbe strumentalizzarlo nella sua propaganda anti italiana. Ma il localismo del principe non ha nulla a che vedere con spiritismi celtici o tentazioni etnico-razziali. Non esiste una nazione del Liechtenstein nemmeno nel senso greco di etné. E' gente della Rezia romana germanizzata, come gli abitanti del vicino cantone di San Gallo o dell'Austria occidentale. Parla tedesco e non batte moneta, usa il franco, non ha esercito, si affida agli svizzeri. Ha mantenuto la propria autonomia, prima grazie alle concessioni imperiali, poi con l'astuto mercanteggiamento della casa regnante.

    Se chiedete in giro dove sta il Liechtenstein otterrete le risposte più diverse. Se chiedete che cos'è, tutti diranno subito “un paradiso fiscale”. L'Ocse nel 1998 lo ha messo nella lista nera, poi è stato spostato in quella grigia, infine nel 2008, in seguito alla firma dell'accordo di scambio di informazioni economiche è uscito anche da quel purgatorio. Considerata l'esiguità del territorio (solo 160 Km quadrati) e la vicinanza strategica alla Svizzera, l'intera legislazione del Principato è modellata per creare un paradiso fiscale e bancario. Già dal 1926 in Liechtenstein era possibile costituire un trust, utile strumento giuridico anche per pianificare la successione in caso di morte delle persone fisiche. I capitali sono affluiti copiosi attirati dai vantaggi del segreto bancario e dall'assenza di tasse sui patrimoni e sui redditi. La legge ha garantito l'anonimato ai beneficiari delle fondazioni, nei confronti di qualsiasi richiesta di informazione proveniente da stati esteri per motivi fiscali. Il vantaggio competitivo dipende dal binomio fiducia-garanzia di riservatezza, che caratterizza tutti i servizi finanziari offerti. Un binomio che la Germania negli ultimi anni ha fatto cadere.

    Tra gli stati più vicini, quello tedesco ha sofferto da sempre la maggior perdita di gettito fiscale e di capitali. Contro l'idrovora di Vaduz che in realtà porta fino a Basilea dove hanno sede operativa le banche del Liechtenstein, Berlino ha cercato prima misure diplomatiche, poi è passato alle vie di fatto. Nel 2000 viene raggiunto un accordo sull'introduzione nella legislazione del Liechtenstein, del divieto di poter detenere dei conti correnti anonimi presso le banche del Principato. Nel 2001, un tecnico informatico, Heinrich Kieber, viene incaricato dalla LGT, la banca della famiglia regnante di Vaduz, di informatizzare l'archivio dei clienti proprio per raccogliere i dati sui reali correntisti. Il gruppo bancario detiene circa la metà di tutti i beni patrimoniali del Principato, complessivamente amministra circa 88 miliardi di franchi svizzeri (73 miliardi di euro) ed è specializzato nella gestione di capitali in quasi tutti i paradisi fiscali, una vera miniera. La Germania ospita ben sette filiali della banca che, tra il Reno e l'Elba, raccoglie soldi a palate.

    Con un'audace operazione di spionaggio, nel 2008 i servizi segreti tedeschi acquistano da Kieber per 4,2 milioni di euro i dati riservati dei correntisti della LGT e scoppia un putiferio. Berlino invia il dossier all'amministrazione fiscale del Regno Unito (la lista è piena di cittadini britannici) la quale spedisce le preziose informazioni a tutti i paesi aderenti al forum fiscale dell'Ocse, tra i quali l'Italia dove vengono indagate 190 persone. Escono fuori grandi famiglie del capitalismo tricolore (Pesenti, Zanussi, Lodigiani, Federici, Aleotti), personaggi del beau monde come Mario D'Urso, alti dirigenti dell'Eni, ma anche tanti prestanome. Molti di loro smentiscono altri sostengono che sono normali operazioni. Si parla persino di fondi della mafia russa come delle gang balcaniche. E le mura del paradiso crollano. Intendiamoci, esistono ancora molti vantaggi per chi apre una società a Vaduz sotto varie forme, soprattutto società anonima (lo si può fare in due giorni, per qualsiasi scopo e i nomi dei soci, tutti non residenti, non sono noti nemmeno nei registri della Camera di commercio). La segretezza è garantita anche per la fondazione e il trust, essa rappresenta l'alfa e l'omega di ogni difesa dai tentacoli del grande Leviatano.

    Un rifugio, una terra d'asilo, un luogo che soppianti il monastero, albergo contro la tirannia dei baroni e degli imperatori: siamo sicuri che non serva per proteggere le minoranze quando la maggioranza si fa dittatura? E qualche isola del tesoro nel mare in tempesta della finanza globale, è proprio da disprezzare?
    Gli abitanti hanno vissuto l'intera spy story come una sorta di Anschluss finanziario, evocando tutti gli innumerevoli tentativi tedeschi per annullare l'indipendenza del Principato. In realtà fino al 1719 era una contea in mano alla dinastia degli Hohenem, feudatari del Sacro romano impero. Il Principato nasce per concessione di Carlo VI con il nome del suo fidato consigliere Anton Florian del Liechtenstein. L'ironia della storia vuole che la sua indipendenza si debba a Napoleone il quale, sciolto l'impero con l'abdicazione di Francesco II, favorisce la nascita della Confederazione del Reno. E' il momento in cui il principe Johann I esercita la piena sovranità e concede una limitata Costituzione. Crollato Bonaparte, lo staterello che ormai ha preso forma, aderisce alla Confederazione tedesca presieduta dall'imperatore d'Austria fino alla guerra con la Prussia del 1866. Bismarck accusa addirittura il minuscolo Liechtenstein di aver provocato lo scoppio della guerra, tanto che il Principato rifiuta di firmare il trattato di pace e si lega ancor più strettamente agli Asburgo. La Germania tenta di nuovo di appropriarsene dopo la Prima guerra mondiale, una volta disgregatasi l'Austria-Ungheria. Adolf Hitler brandisce la mancata firma della pace per vantare diritti di annessione. A impedirlo sono le abili manovre di Francesco Giuseppe II, il padre di Hans-Adam.

    Primo a stabilirsi nel castello di Vaduz che per secoli era poco più di una residenza estiva per sovrani giramondo che preferivano Vienna, Londra o Parigi, Francesco Giuseppe II prende le redini nel 1938 dallo zio ereditando un territorio agricolo, povero e un'amministrazione in sostanziale bancarotta. Nel 1928 il fallimento della Cassa di risparmio ha prosciugato le riserve del paese che finisce economicamente vassallo della Svizzera. E' allora che viene introdotto il segreto bancario e il Principato si avvia sulla scala che sale ai campi elisi della finanza. Un anno dopo s'avventura in una sconsiderata e fantasiosa ipotesi di moneta mondiale chiamata globo. L'idea brilla nella testa di un economista svizzero, Joseph Gottfried Dubach-Villiger. A Lugano nasce la Globocapital association che emette anche alcune monete in oro, a Vaduz viene incorporata una Globocapital Company. Il sospetto è che serva per attirare i capitali in fuga dal fiorino austriaco, falcidiato dalla crisi mondiale. Quando il 19 marzo 1938 Hitler proclama l'annessione, per il Liechtenstein sembra arrivata la fine. Francesco Giuseppe manovra con abilità, tratta, ottiene di restare fuori dall'asse germanico e neutrale durante la Seconda guerra mondiale. Tutto ciò ha un prezzo, il prezzo dell'ambiguità al quale non sfuggono né la vicina Svizzera né la lontana Svezia. Nel 2005 viene fuori che anche il Principato avrebbe sfruttato i detenuti nel campo di concentramento di Strasshof.

    Hans-Adam sale al trono nel 1984 con l'obiettivo di conservare e modernizzare. Presidente della banca LGT, gran collezionista, il suo patrimonio personale è stimato attorno ai tre miliardi di euro. Nel 1967 sposa la cugina Marie Aglaë che gli dà quattro figli a loro volta molto prolifici: ad oggi si contano tredici principini. Seguendo la regola rigida del maggiorasco, Alois prende in mano le redini nel 2005, mentre Hans-Adam si dedica agli amati studi sullo stato minimo. Prima, però, assicura il potere massimo possibile nelle condizioni date: la nomina dei giudici, per esempio, o il diritto di veto contro qualunque legge del Parlamento, la scelta diretta del governo in casi particolari. Democratico sì, ma pur sempre principe. Indice un referendum costituzionale nel 2003, punta i piedi minacciando di trasferirsi in Austria e vendere Vaduz a Bill Gates se il popolo vota no. In teoria, potrebbe rifiutare tutto, persino il Principato e istituire una repubblica, l'attuale Costituzione glielo consente, ma il popolo vota sì. Dice con orgoglio Hans-Adam: “Noi non siamo pagati né dallo stato né dai contribuenti, diversamente da altre monarchie tutti i costi sono coperti con i beni del casato”. In una repubblica non sarebbe possibile. Anche questo ha la sua influenza nel giudizio degli elettori.

    La crisi, del resto, non risparmia nessuno. Fedele ai dettami liberisti e ai maestri della scuola austriaca, Hans-Adam non ama complicati e costosi interventi pubblici. Su questo il principe eterodosso segue l'ortodossia e non vede con favore che i contribuenti dei paesi virtuosi paghino per quelli viziosi. Il problema vero riguarda le banche inzeppate di titoli tossici o pronti a diventare tali. “Meglio pensare a ricapitalizzare gli istituti che mettere mano a salvataggi inutili e dispendiosi”, spiega. Ma le banche più esposte sono anche le più grandi: la svizzera Ubs, la francese Bnp, Deutsche Bank. Dove trovare le risorse? Certo non nello stato al quale, secondo la costituzione ideale, è fatto divieto di avere crediti o debiti.

    Il principe ha lo sguardo lungo, vuole sfuggire alle miserie del giorno per giorno. E lui può permetterselo. “Quando si nasce in una famiglia come la mia, solitamente si sviluppa un interesse per la storia e si riceve una formazione intellettuale internazionale. Da liceale – racconta – mi sono interessato alle ragioni che portarono alla guerra d'Algeria. Perché i cittadini del Liechtenstein possedevano il diritto di autodeterminazione e non gli algerini? Problema analogo incontrai ai tempi di Franco quando studiavo economia e facevo pratica in una banca dei Paesi baschi”. La fine degli imperi e il nuovo nazionalismo, la decolonizzazione, il crollo dell'Unione sovietica, le tragedie provocate da ideologie autoritarie come il nazionalsocialismo e il comunismo. Tutto questo ha marchiato a fuoco il secolo scorso. Il nuovo è segnato dalla globalizzazione che mette in discussione anche il modello liberal-democratico così come lo abbiamo conosciuto.

    “Nel Terzo millennio l'umanità desidera ancora uno stato? Non è forse possibile che si realizzi la vecchia utopia di una società affrancata dallo stato?”. Un principe anarchico finora non si era ancora visto. “L'anarchia ha rappresentato per molto tempo un movimento pacifico fondato sulla proprietà privata. Solo alla fine del secolo XIX una parte del movimento è caduta sotto l'influenza ideologica socialcomunista”, spiega. E' tra queste opposte tensioni che si muove l'immaginazione di Hans Adam, piena di accenti alla Thomas Jefferson, una società di piccoli produttori e consumatori che vivono in armonia nella propria comunità. Un'aspirazione ideale che ancor oggi pervade parte degli Stati Uniti e fa da retroterra storico al movimento dei Tea Party verso il quale, ça va sans dire, Hans-Adam nutre simpatia.

    Nell'Europa divisa tra spinte centrifughe (ritorni oscuri come nell'odierna Ungheria autoritaria e antisemita, rifiuto di assumere responsabilità comuni), e una tendenza razionale all'unificazione, i vecchi confini hanno ancora senso? Una domanda che attraversa destra e sinistra, italiani e tedeschi, i belgi, da più di un anno senza governo e di fatto divisi tra fiamminghi e valloni, gli spagnoli, i baschi, i catalani. Difficile trovare il nuovo centro aggregante una volta che la nazione o la République alla francese si dileguano tra gli ectoplasmi del passato. Hans-Adam offre il suo sogno: “Se l'umanità nel Terzo millennio riuscirà a trasformare tutti gli stati in imprese che forniscono servizi di pubblica utilità, che servono gli esseri umani sulla base della democrazia diretta e indiretta e del diritto all'autodeterminazione a livello comunale, questo sarebbe già un bel risultato”. Cittadini-clienti, politici-manager, un monarca che vuole estinguere lo stato. Siamo davvero sull'isola di Utopia che, del resto, secondo Tommaso Moro, era un regno.