Moralmente inferiori
Non mi sono mai divertito tanto leggendo i giornali. Il vitellone Lavitola era stato invitato a processo da Mentana su La7, nuovo programma scoop il mercoledì sera, due ore e mezzo di diretta da non-si-sa-dove, con quattro o cinque maschere d'aguzzino a interrogarlo dalla sua salutare latitanza. Giovedì gnocchi ovvero riflessione su quel che s'era visto. Ieri, venerdì, su Repubblica campeggiava un articolo del mio amico Francesco Merlo, un caso fin troppo onorevole di militanza: botte a Lavitola in nome del più fiero disprezzo antropologico, a Francesco non piace l'Italia.
Non mi sono mai divertito tanto leggendo i giornali. Il vitellone Lavitola era stato invitato a processo da Mentana su La7, nuovo programma scoop il mercoledì sera, due ore e mezzo di diretta da non-si-sa-dove, con quattro o cinque maschere d'aguzzino a interrogarlo dalla sua salutare latitanza. Giovedì gnocchi ovvero riflessione su quel che s'era visto. Ieri, venerdì, su Repubblica campeggiava un articolo del mio amico Francesco Merlo, un caso fin troppo onorevole di militanza: botte a Lavitola in nome del più fiero disprezzo antropologico, a Francesco non piace l'Italia (e fino a un certo punto si può anche capire il suo punto di vista sontuosamente argomentato). Asse dell'articolo, che un catanese però non dovrebbe scrivere perché i pescivendoli sono persone dabbene, era questo: i giornalisti di destra inneggeranno a Lavitola, vedrete che monumentalizzazione, invece lui è un puzzone e come tale è comparso in tv e può agevolmente essere giudicato.
A Francesco capita un incidente, come succede spesso a noi che combattiamo (era già accaduto con Manuela Arcuri, “la nostra Anna Magnani”). Effettivamente aveva visto giusto. Un giornalista così di destra da essere ormai all'estrema sinistra, si tratta dell'elefantino, inneggiava ieri a Lavitola nel Foglio dicendo la nuda verità: è un faccendiere di talento che fu messo a confronto con giornalisti di inaudita e torva inefficacia, due a zero per lui e rampogne post partita per i gendarmi di carta sconfitti per inferiorità etica e scarsa simpatia umana.
Senonché, ecco l'incidente. Stefania Carini, la critica televisiva di Europa, giornale di sinistra, e la critica televisiva del Manifesto, Norma Rangeri, addirittura direttora di quotidiano comunista, scrivono la stessa identica cosa dell'elefantino, sebbene masticando amaro perché il loro mestiere ideologico è rappresentarsi il mondo come una lotta tra guardie e ladri, per stare naturalmente (sono di sinistra) dalla parte delle guardie. Masticano amaro, laddove l'elefantino cinico e bastardo usa toni di trionfo morale, ma riconoscono che Lavitola con quei metodi non si batte, e che sottoporre il grande latitante al piccolo giornalista origliatore è stata un'idea controproducente. Lui, il reprobo, è più spigliato, furbo e simpatico dei censori impreparati che lo fronteggiano. Nonostante l'appoggio di centomila intercettazioni e tre procure della Repubblica più quella di Lecce, il giornale di Ezio Mauro, già organo di Libertà & Giustizia, si trova (brutto affare) isolato. Cattivo presagio per la prossima manifestazione del 7 ottobre di Zagrebelsky e Pisapia contro Berlusconi e Napolitano: chi faranno sparlare di Berlusconi stavolta, un neonato?
La cosa si fa più amara ancora se si pensi che anche il più alto cattedratico di televisione, Aldo Grasso, da posizioni terziste sul Corriere, parla come un elefantino qualunque (ed è ovviamente un complimento). Volevano impallinarlo, il faccendiere, e sono rimasti impallinati, scrive la massima autorità in materia di tv, pur aggiungendo che un faccendiere è un poco di buono anche nei dizionari. Sentenza definitiva.
Perché ingordamente festeggiamo, e stappiamo champagne e mangiamo pesce, anche congelato, anche della partita trattata da Valterino a Sofia? Non per una querelle tra giornali, chissenefrega del giornalismo, ma per un fattore morale. La nostra tesi è infatti la seguente. Berlusconi è indebolito politicamente, non abbastanza per farlo fuori senza una alternativa che le intercettazioni non sono capaci di suffragare, ma moralmente ha vinto su tutta la linea, perché tra le asserite sconcezze galanti delle sue feste (DSK è un'altra cosa, continua a fronteggiare accuse di stupro tra gli applausi dei beautiful people) e la vergognosa persecuzione dei ficcanaso, non c'è partita. Il piano moralmente superiore è occupato da noi berluscones e servi, mentre gli uomini liberi e giusti – e molto ficcanaso – devono accontentarsi del moralismo perseverante e diabolico, dell'ipocrisia.
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A proposito di faccendieri, ecco un appunto per Grasso, che conosce la materia etimologicamente. Caro Aldo, io la materia la conosco politicamente, perché ho fatto politica e l'ho lasciata tanti anni fa, quella politica, proprio per la mia imbelle incapacità di rendermi ricattabile, condizione decisiva per contare in qualunque combriccola di stato (non che io non pecchi o non abbia una quantità di cose da nascondere, intendo “politicamente ricattabile”). Sai anche che non mi piace la spazzatura, se non quella surrealista che si poteva fare in tv un quarto di secolo fa. Leggo avidamente e onanisticamente il Vernacoliere di Travaglio, che è la riedizione giovanilista del vecchio Messaggero, quando i romani lo chiamavano sprezzantemente “il Corriere della Serva”, ma solo per dimenticare i particolari dell'orgasmo subito dopo. Tuttavia ieri una intera pagina vernacolare era dedicata a un giro di amici di D'Alema che fanno affari, intermediano con le aziende di stato, cacciano appalti, corteggiano ministri pro tempore, finanziano fondazioni da Bari a Genova a Milano. Ecco, capisco la tua severità con il faccendiere Lavitola, obbligata e forse anche doverosa, ma vorrei che le procure e i giornali (praticamente la stessa cosa) riservassero un quinto dell'attenzione che hanno riservato ai lobbisti amici del governo (e dell'opposizione) a coloro che nella bella e cotonata puntata di Otto e Mezzo con il “presidente” D'Alema, andata in onda subito prima di Lavitola, sono stati definiti con eleganza “amici”. Non ricordo intercettazioni né trasmissioni giustiziere che si siano occupate di Formula Bingo, di molte altre circostanze e degli amici di una parrocchia, che come tutte le parrocchie politiche, non produce solo messe e omelie. Nel mondo esistono anche le sagrestie. Ho difeso e difendo Tedesco e Penati e Oldrini, sono contro le ritorsioni e le vendette còrse, ma credo, caro Aldo, che noi gentiluomini, sui giornali che ci toccano in sorte, dobbiamo astenerci dal predicare bene sui Lavitola, peraltro efficaci nel vendere prodotti italiani all'estero (a quanto pare), e razzolare male sul giro di “amici” che abitano tutti i mondi possibili del potere. Leggi il Vernacoliere di ieri venerdì, pagina 7, e vedrai che non ho torto.
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Grande ritorno di Francesco Piccolo sull'Unità, ieri, in prima pagina. L'Unità è tornata a pensare, liberamente, non con il cervello della redazione di Repubblica. Per ora la leggiamo, quando deciderà di essere più aperta ancora nella concorrenza, faremo tutti l'abbonamento. Piccolo sapete chi è, la nostra divina Annalena Benini ne fece un ritratto sornione e innamorato che fu titolato: “Di sinistra, ma felice”. Lo sceneggiatore di Moretti e scrittore einaudiano, nel senso buono (la Einaudi tutelata dal tatto editoriale di Berlusconi, non quella combriccolare di Asor Rosa), si è dichiarato per la prima volta infelice. Gli fa schifo essere diventato, lui con tutti i suoi amici di sinistra, spesso bravissima gente che naturalmente non ne può più di noi berluscones (come li capisco), un voyeur e un origliatore. La dipendenza della politica dalle intercettazioni delle vite private è infatti un male morale di questo paese, ed è in corso una stupida battaglia post it e libertaria per difendere il diritto a ficcare il naso in casa d'altri. Piccolo vive un non trascurabile momento di infelicità, e argomenta i motivi di questa sua depressione civile, che gli fa onore, senza indulgenza per sé e per la politica che è appesa al filo del telefono, ai video scosciati e ai cazzi propri degli altri. Naturalmente, un po' perché lo pensa e un po' perché sennò gli farebbero la pelle per strada, Piccolo attribuisce la prima responsabilità di questa situazione a quella che chiama “l'orribilità” di Berlusconi. Vabbè. Berlusconi ha fatto qualche ritorsione, ma non gli si addice il titolo di spione. Chiunque capisce che gli si addice semmai quello di spiato. Ora che lo spiato sia la matrice degli spioni è paradosso un po' forte, anche per un principe della parola come Francesco Piccolo. Si capisce che debba portare vasi a Samo, però questa brutta storia da cui la sinistra uscirà forse politicamente trionfante, ma moralmente con le ossa rotte, finirà quando quei pochi coraggiosi come Piccolo si decideranno a dire: non mi piace, ma quelli che lo spiano e lucrano politicamente sulle spiate si rivelano peggiori di lui. Magari sarà il suo ultimo articolo, e non è detto, ma sarà certamente il migliore. Quest'uomo comunque sincero e coraggioso, un progressista che però sa (come lo sanno i conservatori) di che pasta siamo fatti e quali sono i pericoli in cui incorriamo, aggiunge personalmente (fuochino, fuochino) di sentirsi almeno personalmente ancora più orribile del mostro sistematicamente spiato, tossico- dipendente dalla strategia dell'ascolto, del riversamento su nastro e della violazione del buco della serratura. Con l'inquietudine riscatta ciò che resta della sinistra, e del giornalismo. E consegna irrevocabilmente i vari Zagrebelsky alla loro vera identità: reazionari untuosi e perbenisti.


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