Liberali con e senza buco
Con l'editoriale di Piero Ostellino, impeccabile e controfirmabile, coraggioso e lucido, il Corriere ha dato voce ieri, come ha fatto in altri termini alcune altre volte (Panebianco, gli editorialisti economici della scuola liberista, un certo Battista) a un punto di vista liberale non politicante. Eravamo ancora sotto trauma per aver letto in quel giornale alcuni strani pezzi recenti di Ernesto Galli della Loggia, intelligente osservatore di cose italiane; l'ultimo, poi, era un appello alla lotta politica nel partito di Berlusconi.
Con l'editoriale di Piero Ostellino, impeccabile e controfirmabile, coraggioso e lucido, il Corriere ha dato voce ieri, come ha fatto in altri termini alcune altre volte (Panebianco, gli editorialisti economici della scuola liberista, un certo Battista) a un punto di vista liberale non politicante. Eravamo ancora sotto trauma per aver letto in quel giornale alcuni strani pezzi recenti di Ernesto Galli della Loggia, intelligente osservatore di cose italiane; l'ultimo, poi, era un appello alla lotta politica nel partito di Berlusconi, sacrosanto nella sostanza ma formulato con una certa accidia politicistica insolita in un commentatore autorevole e spesso piuttosto equilibrato. Un lessico che non stona nella penna di un cronista come Carmelo Lopapa di Repubblica, al servizio di una piuttosto ordinaria richiesta di licenziamento di Berlusconi inviata ai suoi competitori interni. Abbiamo scritto e detto in pubblico che in quell'ambiente bisogna passare dalla monocrazia alla democrazia, ma non per premiare e promuovere vecchie fisime correntizie, e soprattutto non per fiancheggiare piccoli ribaltoni mascherati.
Ostellino, che della tendenza liberale esprime il rifiuto del buco della serratura e una certa attenzione alle questioni sostanziali, senza trascurare di sottolineare la schizofrenia del Cav., riformatore a fasi molto alterne (a essere bonari), ha preso di petto anche l'establishment, cioè gli ambienti ben conosciuti dagli editori del Corriere, e l'attivismo inconcludente della Confindustria. Lo ha colpito la photo-opportunity in cui Marcegaglia e il resto del mondo sindacal-classista-corporativo esibivano il loro disprezzo verso l'articolo 8 della manovra, l'unica vera riforma contenuta nei recenti provvedimenti del governo per fronteggiare la crisi strutturale dell'economia italiana, nel contesto della grave turbolenza finanziaria di una moneta priva di un prestatore di ultima istanza (l'ignava e incerta Banca centrale di Francoforte). Il metodo liberale o liberista non è forse la soluzione di tutti i problemi, d'accordo, bisogna poi anche saper fare bene i manufatti ed essere propensi ad investire, innovare ed esportare, più tante altre cose abbastanza sottovalutate dalle burocrazie di casa Marcegaglia, ma quando Ostellino dice che non ha nemmeno senso parlare di crescita in un paese dove le corporazioni unite hanno più potere di qualsiasi governo, lì scatta l'applauso. Non è molto diverso dalle lezioni dei Giavazzi e degli Alesina, che non si vede come sostituire con pur interessanti remore di tipo sociale e solidale, ma è un appello alla ragione politica di cui si sentiva il bisogno. E va dato atto al Corriere, che non è una tribuna ma un giornale, di saper esprimere anche una visione delle cose infinitamente più larga del liberalismo da buco della serratura saltuariamente praticato da alcuni dei suoi campioni più celebri.
Anche una intervista fin troppo autorevole di Paolo Mieli al Fatto quotidiano ci aveva stupito, un paio di giorni fa. Mieli ha sempre saputo distinguere, con qualche cinismo, tra politica e porno giornalismo, e forse un'intervista al Vernacoliere di Padellaro e Travaglio poteva essere un'occasione per confermarsi nella fede al cospetto di cotanto pubblico.


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