Giù la testa

Il dietrofront dei sindaci leghisti ribelli e il voto per Milanese

Cristina Giudici

In termini più diplomatici si può definire un ripiego tattico, ma si tratta di una débâcle. E pure doppia. Roberto Maroni e i maroniani sono stati costretti a chinare la testa, in attesa di tempi migliori. Attilio Fontana, sindaco di Varese, diventato il simbolo del dissenso dei sindaci contro i tagli del ministro dell'Economia agli enti locali, ieri ha dovuto dimettersi dal suo incarico di presidente lombardo dell'Anci, l'Associazione nazionale dei comuni italiani. Lunedì scorso il consiglio federale della Lega lo ha costretto a scegliere fra la protesta e il divieto del partito ai sindaci leghisti a partecipare a manifestazioni contro la manovra.

    In termini più diplomatici si può definire un ripiego tattico, ma si tratta di una débâcle. E pure doppia. Roberto Maroni e i maroniani sono stati costretti a chinare la testa, in attesa di tempi migliori. Attilio Fontana, sindaco di Varese, diventato il simbolo del dissenso dei sindaci contro i tagli del ministro dell'Economia agli enti locali, ieri ha dovuto dimettersi dal suo incarico di presidente lombardo dell'Anci, l'Associazione nazionale dei comuni italiani. Lunedì scorso il consiglio federale della Lega lo ha costretto a scegliere fra la protesta e il divieto del partito ai sindaci leghisti a partecipare a manifestazioni contro la manovra. Idem per Flavio Tosi, l'altro maroniano che come Fontana oggi non parteciperà allo sciopero dei sindaci. Una giornata in cui i primi cittadini riconsegneranno le loro deleghe ai prefetti e apriranno le porte dei municipi ai cittadini per spiegare le ragioni del proprio dissenso sulla manovra. Ragioni che per Fontana assomigliano più al sonno della ragione, visto che la sua rinuncia dipende da una guerra intestina con il cerchio magico, guidato da Lady B, la moglie del Senatùr, da tempo a caccia di un motivo per poter espellerlo. E infatti ieri al sindaco di Varese sono arrivati numerosi messaggi di militanti che lo incitavano a non mollare, ma lui non ha alcuna voglia di immmolarsi e fare il kamikaze: “La mia espulsione porterebbe allo scioglimento della giunta comunale e non ho voglia di fare questo regalo al Pdl, dopo avergli portato via tanti voti alle scorse elezioni amministrative”, spiega al Foglio. E non vuole darla vinta ai pretoriani di Bossi, che così si libererebbero di uno dei loro principali nemici. Stesso gioco per Tosi, che ha dovuto piegarsi davanti alla minaccia del suo avversario, Gian Paolo Gobbo, segretario della Liga veneta – che qualche giorno fa ha pronunciato queste parole: “Le cassandrine faranno la fine di Comencini” (l'ex leghista che 13 anni fa sfidò Umberto Bossi e venne espulso) – e non parteciperà allo sciopero dei sindaci. Come la presidente della provincia di Venezia, Francesca Zaccariotto, sindaco di San Donà, che ha accolto il richiamo di Calderoli agli amministratori padani a non “sentirsi fuori dalla linea del partito”.

    Anche se la situazione è molto più grave per Attilio Fontana, amico personale di un Bobo Maroni che in questo momento non può proteggerlo. Nonostante la battaglia di Fontana abbia come obiettivo quello di frenare l'emorragia del Carroccio, che deve la sua forza al consenso territoriale. E ora, non è neanche in grado di convocare il congresso della sezione varesina della Lega sabato prossimo, perché i vertici del partito, per ora tornato nel pieno controllo dei fedelissimi del Capo, cercano scuse per rimandare la resa dei conti.

    Anche a Roma non è il momento di azzardi che vadano contro il governo (e il cerchio magico). Ieri, in Giunta per le autorizzazioni a procedere, i due deputati leghisti che ne fanno parte hanno votato contro l'arresto dell'ex collaboratore del ministro Giulio Tremonti, Marco Milanese. Compreso Luca Paolini, maroniano come altri venti deputati che prima dell'estate diedero sfoggio (un errore tattico? un contesto diverso?) della loro forza votando per l'arresto di Alfonso Papa, per dare un doppio segnale sia al movimento padano sia al Pdl. E' molto probabile che invece il 22 settembre voteranno contro l'arresto di Milanese, quando la richiesta per l'autorizzazione a procedere arriverà in Aula, a Montecitorio. “Potremmo fare come l'Udc, che ieri in Giunta ha votato per l'arresto e in Aula probabilmente voterà in un altro modo, perché a Casini conviene mantenere in piedi questa maggioranza finché diventerà un lumicino”, ragiona un deputato leghista. “Una cosa è certa: se ce lo ordina Marco Reguzzoni (il capogruppo dei deputati leghisti, referente del cerchio magico) noi diremo no, se invece ce lo ordina Bossi, allora faremo come dice lui”. Tradotto: il ministro dell'Interno vuole dimostrare la sua fedeltà e non essere accusato di fronda perché attende il momento opportuno per riprendere in mano le redini dei “ribelli” – che però rappresentano la maggioranza, sia in Parlamento sia nel partito – e cercare di cambiare la rotta (il declino?). O almeno questa è la speranza dei maroniani, che scalpitano perché Roberto Calderoli è riuscito a prendere in mano lo scettro, e pare che anche il segretario della Lega nord in Lombardia, Giancarlo Giorgetti, alleato di Maroni, sia rientrato nei ranghi. Del resto, non è certo ora che la Lega può permettersi di dare scossoni al governo. Ma c'è chi pensa che continuare a rinviare la resa dei conti può essere fatale per la Lega. E anche per Bobo, che invece ritiene ci sia un tempo per agire e uno per aspettare. E tacere.