Caro Cavaliere, lasci stare Tremonti

Giuliano Ferrara

Caro presidente, lasci stare Tremonti, la supplico. Ha un carattere insopportabile, ha fatto come tutti molti errori, le fa personalmente venire l'orticaria, l'idea di scaricare su di lui l'ondata di antipatia fiscale che oggi si indirizza sul governo è una di quelle tentazioni alle quali è difficile resistere, e lei, come Oscar Wilde, a tutto sa resistere tranne che alle tentazioni. Tuttavia non è saggio anche il solo pensare di far fuori il ministro dell'Economia, non è prudente, non è una mossa tempestiva.

    Pubblichiamo l'editoriale di Giuliano Ferrara uscito domenica sul Giornale

    Caro presidente, lasci stare Tremonti, la supplico. Ha un carattere insopportabile, ha fatto come tutti molti errori, le fa personalmente venire l'orticaria, l'idea di scaricare su di lui l'ondata di antipatia fiscale che oggi si indirizza sul governo è una di quelle tentazioni alle quali è difficile resistere, e lei, come Oscar Wilde, a tutto sa resistere tranne che alle tentazioni. Tuttavia non è saggio anche il solo pensare di far fuori il ministro dell'Economia, non è prudente, non è una mossa tempestiva.

    Sia perché il suo ministero deve a Tremonti un qualche ordine possibile nei conti sballati ricevuti in eredità da una lunga storia sia perché l'onda d'urto di crisi e speculazione è molto forte in questo momento, e un crac politico nella direzione dell'Economia e delle Finanze sbilancerebbe forse definitivamente il governo, provocherebbe un trambusto di cui a profittare, alla fine, non sarebbe né il suo progetto di finire la legislatura in sella né quel che resta, agli occhi degli italiani e de­gli europei, della sua capacità di incollare una maggioranza senza alternative di governo.

    Casini fu cacciato alla vigilia delle ultime elezioni politiche. Le dissi e scrissi a quel tempo, con la mia solita petulanza ammonitrice, che era un bell'azzardo. I motivi c'erano, la forza dirompente della sua offensiva contro il governo Prodi permetteva in teoria l'eliminazione del residuo democristiano che era attaccato da sempre alla coalizione di centrodestra. Poteva certo nascere da quel gesto estremo un rilancio delle riforme liberali tanto attese e sempre eluse, ma poteva più verosimilmente derivare, dalla cacciata in corsa di Pierferdi e della sua insopportabile com­briccola centrista, una ridotta ca­pacità di mediazione sua e di palazzo Letta alias palazzo Chigi. Mi permisi di dirle e di scrivere che Letta, con la sua maestria di go­verno, si sarebbe trovato maluccio tra Tremonti e Maroni, senza il pattuglione democristiano che da sempre lo aiutava nelle famose triangolazioni della politica, di ogni politica nelle repubbliche parlamentari. E così è andata. Il controcanto di Fini presidente della Camera nacque anche da questo indebolimento,e l'esplosione del­la faida degli ex di An nel Popolo della libertà e nel governo la condi­zionò pesantemente e le impose due anni di lotta intestina che fini­rono con la perdita virtuale della maggioranza e il suo recupero af­fannoso, in un clima di sempre maggiore isolamento e indebolimento della sua leadership politica. Anche in quel caso sarebbe stato saggio recuperare, ricucire, tron­care, sopire, e contrattaccare con buone idee di riforma, triangolan­do con l'opposizione per uscirne più forti, spiazzando il paese, go­vernando con fantasia e senza per­dere tempo con le guerre interne. Una legittimazione con qualche prezzo da pagare del controcanto di Fini non avrebbe potuto che farle del bene, altro che Lavitola e Scilipoti.

    Ora con Tremonti lei si sta espo­nendo a un altro azzardo persona­le, umorale, caratteriale, di quelli che piacciono ai suoi tifosi e in fon­do anche a me, perché Berlusconi è il privato alla guida dello Stato, è una certa indifferenza verso le tec­niche della politica. Ma senza esa­gerare, presidente. Esagerare è il suo verbo preferito, la sua mania e la sua grandezza, ma nel paese si affollano i rischi, e il rischio Tremonti è troppo grosso, qualun­que sia la soluzione di ricambio. Lenin diceva: meglio meno ma meglio. A volte in politica bisogna limitarsi, essere un po' minimalisti, fronteggiare gli avversari che ci sono senza crearne continuamente di nuovi. E queste cose lei le sa, per istinto e ormai per esperienza.

    Metta dunque la sordina alle po­lemiche galoppanti, e agli speculatori di ogni tipo che le alimenta­no nell'establishment e a sinistra, deluda magari un po' i suoi soste­nitori più accaniti, ma metta giù le mani dal ministro dell'Economia. Tremonti non è il governo, è un pezzo del governo, ed è sottoposto per legge a una disciplina che le conferisce il potere di dirigerlo. Si è anche molto indebolito nei rapporti altalenanti con la Lega, e tutto sommato è una persona competente e in un certo senso affidabile. Glielo dico, mi consenta, da servo emancipato, da liberto, da amico, da italiano, quello che preferisce: quest'ultima alzata di ingegno è meglio che se la risparmi.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.