Il sesso, i diritti e la vera giustizia
Intorno alla chiusura del caso Strauss-Kahn si possono dire alcune cose ovvie e una che invece è appena meno banale. Partiamo dall'Ovvio, signore del pensiero o almeno dell'opinione informata. Nessuno è contento, chiaro. DSK il potente, presunto stupratore trattato con egualitaria durezza e una certa rozzezza dalla giustizia americana, ha avuto carriera e reputazione distrutte, e il ritiro delle accuse lo lascia al suo stato di presunto innocente, senza un verdetto di non colpevolezza di una giuria (pendenze civili e storie francesi a parte).
Intorno alla chiusura del caso Strauss-Kahn si possono dire alcune cose ovvie e una che invece è appena meno banale. Partiamo dall'Ovvio, signore del pensiero o almeno dell'opinione informata. Nessuno è contento, chiaro. DSK il potente, presunto stupratore trattato con egualitaria durezza e una certa rozzezza dalla giustizia americana, ha avuto carriera e reputazione distrutte, e il ritiro delle accuse lo lascia al suo stato di presunto innocente, senza un verdetto di non colpevolezza di una giuria (pendenze civili e storie francesi a parte). Nafissatou Diallo, la presunta vittima nera immigrata cameriera e donna, ne esce altrettanto malconcia, in termine goffamente tecnico “decredibilizzata”, il che rende in sé più vulnerabile la battaglia per rendere giustizia alle donne offese nei delitti di natura sessuale. Le femministe radicali sbagliano però a protestare, perché l'unica consolazione è che l'asprezza al di sopra di tutto della legge americana, che non guarda in faccia a nessuno, è stata riequilibrata dalla clausola dell'incriminazione impossibile se le accuse non reggano “al di là di ogni ragionevole dubbio”. La forma giuridica garantista può bensì essere impugnata in una prospettiva “di genere”, contro i pregiudizi, ma solo a patto di salvaguardarne l'universalità, altrimenti è la giungla o la Babele della forza pura, e in questa giungla non è la donna, il nero, l'immigrato, la cameriera ad avere la massima protezione. Una giurista francese, Marcela Iacub, ha detto in controtendenza, in una intervista a Libération, che se la signora Diallo avesse cominciato a mentire “credibilmente” nel caso Strauss-Kahan, invece di aver consegnato nel tempo bugie e mezze verità che hanno tolto il fondamento processuale alla sua accusa, avremmo probabilmente un innocente in carcere, ciò che è peggio di cento delinquenti in libertà. E con le ovvietà si potrebbe continuare a valanga, molto lodevolmente.
Quel che invece è meno ovvio riguarda la natura del delitto di stupro e la relazione speciale tra questa natura contemporanea del crimine e la sua accertabilità nel giudizio penale. Quando la femmina era possesso virtuale e preda “naturale” del maschio, la “violenza carnale” o gli “atti di libidine violenta” erano un reato contro il buoncostume e la morale, e il crimine era segnato da una giurisprudenza surreale e crudele verso la dignità delle donne. Abbiamo giustamente corretto questo vecchio impianto ideologico definendo lo stupro un “delitto contro la persona”. Abbiamo per così dire legittimato e comprensibilmente santificato il diritto di una donna a dire di no, e consideriamo degno di punizione severa la violazione coattiva di questo diritto. Carl Schmitt insegnava che la norma politica e giuridica è spesso null'altro che un concetto teologico secolarizzato, e il modello di santa Maria Goretti, colei che disse il suo “no” andando incontro al martirio, è la forma celeste di questo terragno diritto finalmente affermatosi come capacità giuridica individuale, e femminile, di infliggere una pena allo stupratore, al violento, in nome di un secolare e individuale spazio di inviolabilità e di libertà. Solo che la capacità individuale di portare una persona alla condanna, nel nome dei diritti violati di un'altra persona, si confronta con regole uguali per tutti, al di là di ogni ragionevole dubbio, che non sopportano eccezioni “di genere”. Così nei processi per violenza sessuale scatta lo scontro fra assoluti giuridici – lei dice, lui dice – che si riverbera in un potente conflitto simbolico, spesso malamente decidibile. Il paradosso è che se il giudizio fosse stato orientato al buoncostume o alla morale, DSK avrebbe perso; così invece ha limitato le perdite, condividendole con la sua presunta vittima. Sia nella sua vecchia e infausta forma retrograda sia nella nuova civilizzatrice e progressista, il processo per stupro ha uno sfondo simbolico e culturale, esposto al pregiudizio più velenoso, che lo rende fragile. La verità è che il sesso è ordinabile, fino a un certo punto, nelle profondità dell'etica, della politesse, della buona vita, un metro che gli è superiore. La sua superficie istintuale e animale sfugge a una vera giustizia.


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