I postmodernisti si sono pentiti, ma non sanno dove andare
Il problema è chi comanda. Nella politica, nell'economia e anche nella Repubblica delle idee. I filosofi postmodernisti, che si vorrebbero eredi di una cultura importante e ormai secolare, si sono accorti che qualcosa non va. Ma non sanno bene dove andare. Se elimini quel che è oggettivo, quel che comporta un certo adeguamento dell'intelletto alle cose, come in san Tommaso, poi ti ritrovi in un campo libero aperto alla manipolazione universale e ai suoi incubi. Ne hanno discusso con una venatura politicista Maurizio Ferraris e Gianni Vattimo nelle pagine culturali di Repubblica.
Il problema è chi comanda. Nella politica, nell'economia e anche nella Repubblica delle idee. I filosofi postmodernisti, che si vorrebbero eredi di una cultura importante e ormai secolare, si sono accorti che qualcosa non va. Ma non sanno bene dove andare. Se elimini quel che è oggettivo, quel che comporta un certo adeguamento dell'intelletto alle cose, come in san Tommaso, poi ti ritrovi in un campo libero aperto alla manipolazione universale e ai suoi incubi. Ne hanno discusso con una venatura politicista Maurizio Ferraris e Gianni Vattimo nelle pagine culturali di Repubblica.
Vattimo difende comunque il diritto di pensare il mondo senza riferimento alla verità, che è autoritaria. Ferraris, che organizza un convegno sul “nuovo realismo” ed invoca un pensiero meno debole di quello corrente, gli replica con una forzatura ideologica, un colpo basso: guarda, gli dice, che alla fine il postmodernista sommo dei nostri anni, quello che ha messo tutto tra virgolette e ha relativizzato ogni cosa imponendo la dittatura delle opinioni e delle interpretazioni sulla realtà, è Berlusconi. Ma quanti omaggi sinceri rivolgono al Cav. i suoi nemici letterati, quanto grande e sontuosa fanno la sua esperienza, che certo è rilevante, per alcuni versi titanica, ma fino ad ora non aveva la statura di una rivoluzione filosofica e antropologica di tale spessore.
E' vero che Berlusconi ha una relazione per così dire sfaccettata con la verità, e in quanto industriale televisivo e politico, nella fusione dei ruoli, ha distrutto ogni dogmatismo scolastico nel linguaggio e nel pensiero politico, ha fatto della debolezza una forza, dell'opinione un idolo. Ma il Cav. è stato anche un principe del senso comune, uno della folla che grida la nudità del re e si fa re con la spinta dell'ovvio, del palese, del trasparente. La contraddizione è piuttosto nei suoi nemici ideologici, quelli che la sera leggono Kant mentre lui folleggia: sono insofferenti della verità e dell'autorità di codici e istituzioni che la garantiscono, ma poi sentono il bisogno di costruire un muro contro quelle volatilità del mondo berlusconiano che per loro sono manipolazione pura.
Non è la prima volta che a sinistra nasce un dubbio radicale e si installa all'incrocio tra il deposito culturale delle vecchie ideologie e le follie dell'Italia di questi ultimi vent'anni. Con notevole eleganza, e senza mai citare Berlusconi per nome, Franco Cassano, sociologo e storico delle idee, aveva tirato fuori il concetto di “umiltà del male” e lo aveva collegato al “narcisismo etico” delle élite incapaci di fronteggiare, ciò in cui invece il regime berlusconiano è stato maestro, le conseguenze dell'umanità degli uomini, delle loro paure, dei desideri diffusi di tutela. Non è poco accusare la propria parte di non aver capito com'è fatto l'uomo. Infatti la discussione innescata da Cassano è stata insabbiata, masticata con amarezza e restituita come accademismo, dibattito generico e senza sbocco.
Succederà lo stesso con il “nuovo realismo”. Se volessero essere consequenziali, dovrebbero diventare un po' ratzingeriani. Perché è intestata al Papa la tendenza antirelativista e la sfida culturale alla postmodernità intesa come degenerazione manipolatoria del necessario riferimento al giudizio e al reale. I cristiani sono lì a presidiare l'eventuale ritorno al pensiero forte, perché sono relativisti anche loro, basti pensare al “todo modo” dei gesuiti, ma para buscar la voluntad de Dios, per afferrare verità e autorità. Non per vincere un concorso a cattedra o la prossima tornata elettorale.


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