I postmodernisti si sono pentiti, ma non sanno dove andare

Giuliano Ferrara

Il problema è chi comanda. Nella politica, nell'economia e anche nella Repubblica delle idee. I filosofi postmodernisti, che si vorrebbero eredi di una cultura importante e ormai secolare, si sono accorti che qualcosa non va. Ma non sanno bene dove andare. Se elimini quel che è oggettivo, quel che comporta un certo adeguamento dell'intelletto alle cose, come in san Tommaso, poi ti ritrovi in un campo libero aperto alla manipolazione universale e ai suoi incubi. Ne hanno discusso con una venatura politicista Maurizio Ferraris e Gianni Vattimo nelle pagine culturali di Repubblica.

    Il problema è chi comanda. Nella politica, nell'economia e anche nella Repubblica delle idee. I filosofi postmodernisti, che si vorrebbero eredi di una cultura importante e ormai secolare, si sono accorti che qualcosa non va. Ma non sanno bene dove andare. Se elimini quel che è oggettivo, quel che comporta un certo adeguamento dell'intelletto alle cose, come in san Tommaso, poi ti ritrovi in un campo libero aperto alla manipolazione universale e ai suoi incubi. Ne hanno discusso con una venatura politicista Maurizio Ferraris e Gianni Vattimo nelle pagine culturali di Repubblica.

    Vattimo difende comunque
    il diritto di pensare il mondo senza riferimento alla verità, che è autoritaria. Ferraris, che organizza un convegno sul “nuovo realismo” ed invoca un pensiero meno debole di quello corrente, gli replica con una forzatura ideologica, un colpo basso: guarda, gli dice, che alla fine il postmodernista sommo dei nostri anni, quello che ha messo tutto tra virgolette e ha relativizzato ogni cosa imponendo la dittatura delle opinioni e delle interpretazioni sulla realtà, è Berlusconi. Ma quanti omaggi sinceri rivolgono al Cav. i suoi nemici letterati, quanto grande e sontuosa fanno la sua esperienza, che certo è rilevante, per alcuni versi titanica, ma fino ad ora non aveva la statura di una rivoluzione filosofica e antropologica di tale spessore.

        E' vero che Berlusconi ha una relazione
    per così dire sfaccettata con la verità, e in quanto industriale televisivo e politico, nella fusione dei ruoli, ha distrutto ogni dogmatismo scolastico nel linguaggio e nel pensiero politico, ha fatto della debolezza una forza, dell'opinione un idolo. Ma il Cav. è stato anche un principe del senso comune, uno della folla che grida la nudità del re e si fa re con la spinta dell'ovvio, del palese, del trasparente. La contraddizione è piuttosto nei suoi nemici ideologici, quelli che la sera leggono Kant mentre lui folleggia: sono insofferenti della verità e dell'autorità di codici e istituzioni che la garantiscono, ma poi sentono il bisogno di costruire un muro contro quelle volatilità del mondo berlusconiano che per loro sono manipolazione pura.

        Non è la prima volta che a sinistra nasce un dubbio radicale e si installa all'incrocio tra il deposito culturale delle vecchie ideologie e le follie dell'Italia di questi ultimi vent'anni. Con notevole eleganza, e senza mai citare Berlusconi per nome, Franco Cassano, sociologo e storico delle idee, aveva tirato fuori il concetto di “umiltà del male” e lo aveva collegato al “narcisismo etico” delle élite incapaci di fronteggiare, ciò in cui invece il regime berlusconiano è stato maestro, le conseguenze dell'umanità degli uomini, delle loro paure, dei desideri diffusi di tutela. Non è poco accusare la propria parte di non aver capito com'è fatto l'uomo. Infatti la discussione innescata da Cassano è stata insabbiata, masticata con amarezza e restituita come accademismo, dibattito generico e senza sbocco.

        Succederà lo stesso con il “nuovo realismo”.
    Se volessero essere consequenziali, dovrebbero diventare un po' ratzingeriani. Perché è intestata al Papa la tendenza antirelativista e la sfida culturale alla postmodernità intesa come degenerazione manipolatoria del necessario riferimento al giudizio e al reale. I cristiani sono lì a presidiare l'eventuale ritorno al pensiero forte, perché sono relativisti anche loro, basti pensare al “todo modo” dei gesuiti, ma para buscar la voluntad de Dios, per afferrare verità e autorità. Non per vincere un concorso a cattedra o la prossima tornata elettorale.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.