Capire le cose nel caos

Giuliano Ferrara

L'Italia è sottoposta a rigidi vincoli dai tempi del Trattato di Maastricht. Con l'euro e la globalizzazione dei mercati i vincoli sono diventati ovvietà, quotidianità operativa, rigida interdipendenza, omologazione delle ricette economico-finanziarie. La distinzione tra vincoli (positivi) e ricette Bce (negative) è volatile come le Borse e le idee sostenute ieri da Bersani dopo l'audizione di Tremonti. Il vincolo dei vincoli è la ricetta di sempre per crescere e così incidere sui rischi del debito pubblico accumulato nel tempo: siate competitivi, liberalizzate il lavoro e la contrattazione, togliete ogni vincolo improprio, fate rendere il patrimonio pubblico.

    L'Italia è sottoposta a rigidi vincoli dai tempi del Trattato di Maastricht. Con l'euro e la globalizzazione dei mercati i vincoli sono diventati ovvietà, quotidianità operativa, rigida interdipendenza, omologazione delle ricette economico-finanziarie. La distinzione tra vincoli (positivi) e ricette Bce (negative) è volatile come le Borse e le idee sostenute ieri da Bersani dopo l'audizione di Tremonti. Il vincolo dei vincoli è la ricetta di sempre per crescere e così incidere sui rischi del debito pubblico accumulato nel tempo: siate competitivi, liberalizzate il lavoro e la contrattazione, togliete ogni vincolo improprio, fate rendere il patrimonio pubblico e vendetene una parte, lavorate di più e meglio disincentivando la pigrizia sociale e imprenditoriale, riducete le spese abnormi dello stato sociale e previdenziale, colpite le corporazioni, cambiate il sistema fiscale premiando chiunque crei sviluppo e riequilibrando il peso delle tasse partendo dalle rendite finanziarie e dalle imposte indirette, puntate a un incremento dei consumi e fate del sud un magnete fiscale e ambientale per gli investimenti esteri.

    Questo è il “commissariamento”, l'ennesimo impulso, nel caos turbolento dell'agosto borsistico nero, a fare quel che dobbiamo fare da sempre, quel che è difficile fare perché il partito che difende lo status quo è tradizionalmente forte nel nostro paese, fare quel che il governo e il suo mandato elettorale dicono si debba fare e quel che Berlusconi lanciò come programma nel gennaio scorso, con otto mesi persi appresso a processi risibili, scandalismi e moralismi da quattro soldi, blaterazioni all'inseguimento dei peggiori istinti dell'opinione pubblica male informata, divisioni faziose e partitocratiche. Perdiamo voluttuosamente tempo con il costo della casta, che va ridotto perché è indecente, ma è indecente quanto la bugia consolatoria che sia quella una delle soluzioni-chiave del problema economico e finanziario che ci scuote e ci condanna al galleggiamento nella tempesta, senza rotta sicura. I risarcimenti simbolici sono importanti, ma costruirci sopra una politica o un'identità civile è roba da mentecatti.

    Nel gennaio di quest'anno, mentre fervevano i lavori della fabbrica del fango antiberlusconiano, con il risultato di abbagliare e paralizzare una maggioranza e un governo politicamente e numericamente indeboliti, questo giornale partì con una campagna che era anche una corsa contro il tempo. Il Corriere della Sera, per la firma autorevole di Giuliano Amato e di Pellegrino Capaldo, grand commis della Prima Repubblica, lanciò due diverse forme di patrimoniale: due imprese gigantesche, una finanziaria e l'altra immobiliare, che si fondavano sulla rinuncia alle riforme e avevano come risvolto politico la fine del ciclo berlusconiano con un ritorno alle regole o consuetudini del vecchio sistema (dilatazione del centro politico e ritorno al proporzionale).

    La “botta secca” era secondo noi una follia retrograda ma aveva, e lo prendemmo sul serio, uno scenario di sfondo credibile: la crisi da debito dei mercati avrebbe presentato un conto salato tra la primavera e l'estate. Solo che i guru della vecchia politica, in sintonia con pezzi grossi dell'opposizione, tentando un flirt con Giulio Tremonti, all'epoca onnipotente, volevano che il differenziale di sviluppo tra Italia e Germania, oltre al resto, fosse curato con la grande rinuncia, il vero commissariamento, il vero declassamento della nostra economia. Berlusconi si convinse, riprese il tono operativo di capo del governo che la magistratura aveva messo in mora per mesi, di conserva con la grande campagna di delegittimazione personale del gruppo Espresso-Repubblica, e lanciò, contro la botta secca, la grande frustata. La palude ha coperto tutto per otto lunghi mesi, gli standard di controllo europeo del debito sono divenuti nel frattempo più rigidi, i vincoli imposti dal comportamento dei mercati immediatamente obbliganti. Ora il governo deve decidere, entro stasera o al massimo sabato, a mercati chiusi. E deve secondo noi ispirarsi alle uniche idee sensate in campo, quelle dei Francesco Giavazzi, degli Alberto Alesina, dei Mario Draghi. Senza isterismi, con una visione serena e calma delle cose, Berlusconi deve imporre, ora che il suo superministro tra mille difficoltà è venuto a più saggi consigli, ora che la situazione spinge verso una coesione nazionale come premessa di un eurosalvataggio che riguarda anche l'occidente americano, il tema dirimente della crescita. Tutto, dalla riforma fiscale agli anticipi della manovra, va commisurato all'unico sforzo nazionale che vale la pena di fare: produrre maggiore ricchezza con misure toste ma chiare, e non deflettere.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.