Libia. Siamo stati leali fino all'impossibile, ora basta
Le potenze umanitarie stanno appese ai mercati, e aspettano la salvezza da un G7 improvvisato. I profughi della guerra umanitaria di Libia stanno appesi alle loro vite, alla loro fame, alla loro sete, e le navi umanitarie della Nato se ne fottono. I buoni si rivelano cattivi, i cattivi buoni. E non parlo solo della guardia costiera italiana, che interviene fuori dalla sua area e mette in salvo il salvabile con spirito cristiano di carità e senso dell'onore della marineria; parlo del governo italiano, dei suoi ministri, di questa casta politica tanto disprezzata.
Le potenze umanitarie stanno appese ai mercati, e aspettano la salvezza da un G7 improvvisato. I profughi della guerra umanitaria di Libia stanno appesi alle loro vite, alla loro fame, alla loro sete, e le navi umanitarie della Nato se ne fottono. I buoni si rivelano cattivi, i cattivi buoni. E non parlo solo della guardia costiera italiana, che interviene fuori dalla sua area e mette in salvo il salvabile con spirito cristiano di carità e senso dell'onore della marineria; parlo del governo italiano, dei suoi ministri, di questa casta politica tanto disprezzata che aveva trovato il modo, prima che Bernard-Henry Levy e il ceto umanitario del Dipartimento di stato convincessero Europa e Nato alla più stupida delle avventure belligeranti, di interrompere la spirale della morte per acqua nel Mediterraneo infestato dai sogni dell'accoglienza universale, quel lassismo da ideologia che metteva in fila migliaia di povericristi per l'accesso a traversate da incubo.
Se decidi che occorre muovere contro un tiranno che sta massacrando il suo popolo, fatto altamente controverso e gravato dal furore manipolatorio di media e governi nel caso della incipiente guerra civile e tribale nata con la rivolta di Bengasi, allora muovi e gli dai scacco matto con l'impiego di forze di terra. Invece la potenza veterocoloniale francese, che si era messa in prima fila nell'attacco alla guerra irachena e al tentativo di ricostruire quel paese su basi costituzionali, ha indotto l'occidente a praticare la più infelice delle soluzioni, una guerra aerea distruttiva in appoggio a una fazione, una serie interminabile di bombardamenti che falliscono l'obiettivo strategico e politico ma alimentano uno scontro sanguinoso con alto costo di vittime civili (per quanto umanitariamente dissimulato dal circuito mediatico amico).
Tutto nasce dall'antipolitica su scala globale, dall'idea che non si debba esportare la democrazia sulle baionette, il vecchio progetto di Bush e dei neoconservatori americani; piuttosto si deve importare un consenso umanitario che incorona d'alloro lo scettro dei regnatori ma al risparmio, a casaccio, scatenando l'inferno dove un dittatore in pensione, senza più unghie dal tempo dell'offensiva americana a Baghdad e carico di impegni d'affari, avrebbe potuto essere contenuto e ridotto a più miti consigli con un'azione di dissuasione politica, diplomatica e militare senza spreco di bombe e di vite umane.
Il governo italiano si è scioccamente compromesso con questa follia. Avrebbe potuto fare come i tedeschi, dare solidaretà ma senza l'impegno diretto, mediare con un regime con il quale aveva appena stipulato un trattato d'amicizia fondato sulla fine del contenzioso coloniale, e aveva mille ragioni di principio e di Realpolitik per argomentare con forza il suo diniego alle ragioni flebili, e persino futili, di Sarkozy e compagnia. Ora giustamente Franco Frattini, il ministro degli Esteri di questo paese, cerca di guidare una exit strategy, chiede commissioni d'inchiesta sull'incredibile omissione di soccorso in mare da parte della nave della Nato, definisce settembre, cioè domani, come il mese cruciale per la fine della campagna. Ma ci vorrebbe l'impegno diretto di Berlusconi, che avrebbe tutta l'autorità per dire: siamo stati leali fino all'impossibile, ora basta.


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