Il circo mediatico-curiale
Il “rapporto Cloyne”, che riguarda gli abusi sessuali di alcuni preti in una diocesi irlandese, è il quarto del genere in un breve lasso di tempo (pubblicato il 13 luglio scorso). La Repubblica mette sotto inchiesta le strutture gerarchiche della chiesa, che accusa con grande battage mediatico di non aver fatto ciò che la legge civile prescrive per snidare i responsabili dei reati di abuso e così tutelare le vittime, realizzare un atto di giustizia. Il capo del governo, in carica dal marzo scorso dopo una formidabile vittoria elettorale, pronuncia il 20 luglio un discorso a suo modo storico.
Il “rapporto Cloyne”, che riguarda gli abusi sessuali di alcuni preti in una diocesi irlandese, è il quarto del genere in un breve lasso di tempo (pubblicato il 13 luglio scorso). La Repubblica mette sotto inchiesta le strutture gerarchiche della chiesa, che accusa con grande battage mediatico di non aver fatto ciò che la legge civile prescrive per snidare i responsabili dei reati di abuso e così tutelare le vittime, realizzare un atto di giustizia. Il capo del governo, in carica dal marzo scorso dopo una formidabile vittoria elettorale, pronuncia il 20 luglio un discorso a suo modo storico. Cattolico di tradizione, politico della linea legge e ordine, Kenny osa l'inosabile: con parole di fuoco scarica direttamente sul Vaticano, e sul Papa, la responsabilità oggettiva per i gravi abusi riscontrati nel suo paese a danno dei bambini, perché le mancate denunce, e la selezione interna dei casi da segnalare sono un affronto, in nome della pigrizia e del feticismo canonistico, alla sovranità della Repubblica irlandese e alla sua laicità. Applausi. Un paese in preda a una grave crisi si ritrova, su questa questione, nelle mani di un uomo forte che ce la mette tutta, senza riguardi per una Roma petrina che mostra apertamente di detestare, nella difesa dei bambini e degli adulti deboli vittime di orrendi crimini sessuali. Nel paese opera un prete e teologo riformatore, Vincent Twoney, che non finisce di censurare la cultura della chiesa irlandese, che in modo veemente predica nel circuito mediatico per radicali riforme laicizzanti, e che alla fine ha tirato fuori la proposta di fissare il 2003 come termine temporale per un taglio lineare nell'episcopato (pletorico, le diocesi irlandesi sono molte, la conferenza episcopale è grassa quanto quella tedesca con una popolazione di fedeli minuscola). Insomma, per padre Twoney tutti i vescovi nominati prima di quell'anno, in cui Joseph Ratzinger ottenne da Wojtyla maggiori poteri centrali per il controllo sui “delicta graviora” del clero, devono dare le dimissioni, che devono essere accettate in blocco. Resterebbe in carica solo l'arcivescovo di Dublino.
La notizia stupefacente, raccontata ieri da Paolo Rodari nel Foglio, in apertura di un'analisi spassionata e razionale del modo di governare di Benedetto XVI, è che la curia romana sta seriamente pensando di dare corso alla proposta. A settembre potremmo ritrovarci con una risposta della segreteria di stato vaticana, magari argomentata e seria, alle parole durissime di Kenny, ma suffragata, per così dire, dalla decapitazione, senza alcun esame caso per caso dei fatti, dell'intero episcopato irlandese. Sarebbe la festa della tolleranza zero, un caso di laicizzazione spinta se non di rinuncia della chiesa alle sue prerogative. Nella cattolica Irlanda si sta legiferando alla luterana contro il sacramento della penitenza, per imporre la fine del segreto nel confessionale, ciò che la penitenzieria apostolica ha escluso, e per ragioni piuttosto ovvie, possa mai ottenere il viatico della santa sede (nel Foglio, dichiarazione dell'arcivescovo Gianfranco Girotti, il 27 luglio); per tutta risposta, invece di aprirsi umilmente alla legge civile, dismettere atteggiamenti remissivi e omissivi, rivendicando però il diritto alla cura delle anime e alla scelta discrezionale, caso per caso, il Vaticano chiederebbe a un intero clero nazionale di sparire come d'incanto. Il focoso Twoney, per soprammercato, vorrebbe che il criterio di nomina dei nuovi vescovi fosse affidato in forma para-assembleare a preti e laici delle diocesi.
Può essere che siamo a questo punto. L'immagine del clero belga avvilito, ristretto nelle sue stanze dalla polizia di stato, e della tomba del cardinale Leo Suenens, uno dei padri del concilio, sventrata alla ricerca di documentazione compromettente, sono lì ancora a renderci stupefatti della carognaggine del mondo nella sua guerra con la chiesa, e dell'incapacità di reagire da parte di questa istituzione così decisiva per una vera libertà laica nelle società aperte. Va bene la lettera mirabile del Papa all'episcopato irlandese, la visita apostolica, l'auto-riedificazione di una comunità espiante e penitente. Ma applicare alla successione apostolica la dottrina Kenny, in un mondo in cui le istituzioni cattoliche americane nel campo sanitario verranno presto obbligate a distribuire preservativi e forse a praticare aborti, può obiettivamente sembrare un rimedio peggiore del male. Nessuna obiezione a una chiesa orante, che cerca la sua salvezza nella fede, ma non mi fiderei mai della dottrina Kenny.


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