Giornalisti, santi e canaglie

Giuliano Ferrara

Ai funerali di Giuseppe D'Avanzo si è parlato molto di forza e di coraggio, sue qualità. Si sono presentate alle esequie, insieme ai suoi cari e ai molti che lo hanno amato e hanno lavorato con lui, alcune delle sue celebri fonti, roba forte.

Leggi Avevamo bisogno di un avversario come D'Avanzo, è caduto combattendo di Giuliano Ferarra

    Ai funerali di Giuseppe D'Avanzo si è parlato molto di forza e di coraggio, sue qualità. Si sono presentate alle esequie, insieme ai suoi cari e ai molti che lo hanno amato e hanno lavorato con lui, alcune delle sue celebri fonti, roba forte. La legittima retorica dell'eulogia si è visibilmente accostata, nel dolore per la perdita umana e professionale, all'ambigua concretezza di un mestiere complicato e manipolabile, il giornalismo dello scoop investigativo. Scrive sul New Yorker Nicholas Lemann, guru del giornalismo americano, che la professione gazzettiera ha due anime: il santo e la canaglia. L'occasione di Lemann è un editoriale sul caso Murdoch, le intercettazioni abusive e lo scambio illegale per ottenerle e pubblicarle, ma il suo discorso ci riguarda tutti, ed è un omaggio indiretto alle qualità di gran segugio di D'Avanzo e di tutti quelli che lavorano come lui ha lavorato, ma insieme un monito piuttosto severo, sebbene ironico e mai stupidamente moralistico, sugli incerti e i torti di un lavoro che all'abuso è molto esposto, tragicamente esposto.

    La tesi dell'autore è che bisogna andarci piano nel rivendicare la libertà di stampa, i diritti del quarto potere e il diritto del popolo a essere informato. Il giornalismo è parte del pluralismo politico, ed è interesse delle democrazie che entri in contrasto con gli abusi del potere. Però le cose si complicano quando manchi “il rispetto dovuto a sé stessa dalla broadsheet culture”, quando il gusto selvaggio del pubblico spazza via le remore di un establishment consapevole di sé e responsabile di qualcosa di più rilevante che non siano le tirature. Il discorso equilibrato e autorevole di Lemann sembra fatto apposta per gli aspetti meno eroici, e talvolta francamente penosi, del nostro modo di trattare sui giornali e in tv gli indagati o la privacy, e delle tecniche di scambio che usiamo per realizzare scopi o scoop non sempre commendevoli quanto sembra. La sua frase centrale è questa: “La garanzia dell'anonimato alle fonti in cambio di informazioni riservate è una transazione che sta al cuore del mestiere: non è una tangente, ma è un commercio di oggetti di valore, tanto più quando lo spacciatore di notizie riceve un vantaggio tattico dallo spaccio. Quando i giornalisti non premono senza remore per ottenere informazioni riservate, sono dannati come pupazzi dei potenti, ma la raccolta di notizie riservate è una procedura che, nella realtà quotidiana, assomiglia a un qualsiasi meccanismo di mercato”.

    Questo è il fatto. La forza e il coraggio sono doni del carattere, ma la base di ogni giornalismo scoppettaro è lo scambio di interessi, ed è bene saperlo per non tradire troppa affettazione e falso spirito di edificazione ai limiti del famoso “narcisismo etico”. Il giornalismo delle remore (per esempio il nostro) e quello intransigente sono due modi di compromettersi con la realtà, due rischi diversi, ma due rischi in cui il potere della manipolazione si insinua allo stesso titolo, solo in modi differenti.

    Lo scrittore del New Yorker ne ha anche per le fonti. E qui il caso italiano sbrilluccica per analogia abbagliante. “I procuratori che usano i loro poteri di indagine per carpire i segreti delle vite private dei politici e poi li passano ai giornali prima di una formale incriminazione sono sordidi”: sordidi, scrive Lemann. E questo vale anche se “i reporter che pubblicano le trascrizioni dei messaggini di Eliot Spitzer (già governatore di New York, travolto da uno scandalo sessuale, ndr) a un servizio di escort sono considerati modelli professionali”. Non lo convince “la santificazione rituale che entra in gioco ogniqualvolta un cronista ottiene in modo abusivo informazioni da pubblicare”. Il buon giornalista “deve denunciare i vizi del potere, non copiarli, e deve aiutare a scagionare chi è vittima di false accuse, non deturpare e bruttare gli innocenti”.

    Penso che queste glosse, con aiuti esterni, siano utili là dove la privacy non è tutelata, e il nobile J'accuse è una pratica alla portata di tutte le borse.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.