San Raffaele eretico
Che cosa muore con la San Raffaele corporation di don Verzè? Ieri hanno sepolto il numero due del gruppo, Mario Cal, persona consacrata alla missione e devota fino alla disperazione, e nella giornata della pietà il consiglio di amministrazione ha dovuto occuparsi di un fallimento finanziario colossale, di una contabilità stellare e del tutto fuori controllo, ha dovuto guardare negli statuti opachi delle istituzioni di governo create dal fondatore.
Che cosa muore con la San Raffaele corporation di don Verzè? Ieri hanno sepolto il numero due del gruppo, Mario Cal, persona consacrata alla missione e devota fino alla disperazione, e nella giornata della pietà il consiglio di amministrazione ha dovuto occuparsi di un fallimento finanziario colossale, di una contabilità stellare e del tutto fuori controllo, ha dovuto guardare negli statuti opachi delle istituzioni di governo create dal fondatore. Don Verzé è il vecchio capo di una casta sacerdotale culturalmente acattolica, se non eretica, con i suoi esoterici Sigilli (così si chiamano i collaboratori stretti del don) e le sue pratiche scientiste che hanno incantato e variamente promosso un establishment intellettuale di rara intolleranza esclusivista, di sospetta omogeneità, in cui si sono fatte largo negli anni posizioni radicali di soggettivismo, di relativismo e di nichilismo cristiano. Ne sanno qualcosa i fuggiaschi Ernesto Galli della Loggia, storico di cultura liberale, e Angelo Vescovi, ricercatore sensibile alle questioni di bioetica: in quella strana Università Vita-Salute del San Raffaele, creatura strategica del gruppo, non c'era posto per altri che non fossero biologi faustiani, filosofi del nulla, una melassa di libertarismi pseudoagostiniani, con qualche concessione a un giro accademico più largo di buoni storici della filosofia tenuti al guinzaglio dell'ideologia fondatrice. Da Cristo a MicroMega, un volterrianesimo alla Paolo Flores, un caso di cattiva ateo-devozione.
Come tutti i fondatori, il don ha fatto anche cose straordinarie, ha stretto in una morsa la realtà e l'ha piegata ai suoi sogni carismatici, ciò di cui tanta gente in buona fede gli è giustamente grata, fino alla irrecusabile replica dei numeri finanziari, fino a un dissesto figlio a suo modo della grandezza, se non della vocazione a una forma curiosa e molto moderna di onnipotenza pratica. Ora tutti parlano del San Raffaele con vari gradi di unzione e qualche tono maramaldesco verso l'insieme della congrega, cosa che ci asterremo dal fare perché qui, nel Foglio, non abbiamo aspettato il crollo per ipertrofia di un polo ospedaliero che sembrava grandioso nel suo gigantismo; le cose che dovevamo dire le abbiamo dette per tempo con commenti e inchieste sul succo della faccenda: il miracolismo dell'opera di don Verzé e della sua ideologia, l'ambizione e l'illusione di regalare al Vaticano e alla chiesa, che ora ereditano e cercano di controllare almeno un miliardo di euro in debiti finanziari, l'allungamento ad libitum della vita umana, costi quel che costi, e la transizione rapida, eccitata, dal paradigma di sempre del cristianesimo, l'idea della cura di una creatura sofferente e mortale, al mito huxleyano di una immortalità potenziale, transumana e transumanista. Altro che Madre Teresa di Calcutta con le sue pezze fredde sulle febbri terminali dei poveri della terra: guarire, non curare, fu la generosa e pazza parola d'ordine di don Verzé. E per guarire l'umanità dalla morte, e in qualche senso dalla vita stessa, bisognava fare appello ai ricchi ingenui e ai ceti intellettuali e scientifici affluenti, a tutte le risorse sperimentali dell'ingegneria genetica, la clonazione umana non esclusa (secondo testimonianze pubblicate ieri), e portare pazienza per le ubbie e le remore dei ruiniani referendari, cattolici e laici, di coloro che avvertivano con Ratzinger quanto sia rischioso eticamente progettare di fare tutto quel che è possibile fare, e cercare nel fare la sola legittimazione della dignità dell'esistenza umana, embrioni compresi.
Dette per tempo le cose che andavano dette, ora si potrebbe ragionare seriamente sulla corrosione gloriosa di un sogno superomista, il lato oscuro della medaglia, l'ombra dell'opera di carità e di luce che pure è contenuta nel patrimonio messo su da don Verzé, che altri dovrà salvare e riscattare. Il Vaticano, la Curia e lo Ior saranno imballati per un po' di tempo, e in una situazione istituzionale della chiesa italiana che francamente non potrebbe essere più preoccupante, nel tentativo di avere ragione della realtà, che ha fatto giustizia di un modello culturale miracolistico e ultrasecolaristico, uccidendo illusioni e speranze. Ma servirebbe il riconoscimento laico, intellettualmente onesto, dell'errore compiuto con il grande avallo al gigantesco equivoco. Tra i soldi investiti o spesi male e le idee malamente fatte circolare una connessione di ferro c'è, e non vederla per ignavia comprometterebbe il salvataggio finanziario di una conglomerata della salute che aveva ambizioni di riforma etica e di rifondazione delle basi della civiltà cristiana, e che anche su quel metro di misura va considerata e giudicata.
A Vito Mancuso, Roberta de Monticelli, Edoardo Boncinelli, Emanuele Severino, Massimo Cacciari e altri rifondatori del pensiero e dell'azione, a loro che sono stati la base laica del verzismo militante e delle sue devozioni, bisogna chiedere quello che purtroppo non si mostrano disposti a dare: una riflessione critica sul loro lavoro nelle facoltà di Medicina (corpo), Psicologia (anima) e Filosofia (?) di quello strano tempio del positivismo e del nullismo cristiani. E sul crollo del laboratorio dell'immortalità. Quando si cade tanto in alto, non è vietato essere onesti con sé stessi.


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