La locomotiva fricchettona

Giuliano Ferrara

Che il berlusconismo non goda di forma smagliante è ormai notizia vecchia. La novità potrebbe essere questa: sulla strada dell'alternativa al Cav., e non senza una qualche possibilità di riuscita, si delinea una carovana in cui le possenti masse organizzate da un'opposizione tradizionale, ma politicamente afasica, si fanno trascinare alla vittoria dalla locomotiva fricchettona.

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    Che il berlusconismo non goda di forma smagliante è ormai notizia vecchia. La novità potrebbe essere questa: sulla strada dell'alternativa al Cav., e non senza una qualche possibilità di riuscita, si delinea una carovana in cui le possenti masse organizzate da un'opposizione tradizionale, ma politicamente afasica, si fanno trascinare alla vittoria dalla locomotiva fricchettona. L'aggettivo è irrispettoso, ma le mie intenzioni sono buone. I referendum di successo in Italia sono variamente traditi ed elusi, ma rilanciano sempre un racconto epico incubato a lungo nella società. I temi che hanno affascinato domenica e lunedì mattina una maggioranza di italiani sono la difesa dei beni pubblici contro il privato accaparratore, il principio di precauzione come filosofia della decrescita, la giustizia uguale per tutti intesa come premio alla magistratura militante che vuole alla sbarra la classe dirigente. E' vero che la Merkel ha messo la Germania sulla strada delle energie rinnovabili, con una presa d'atto realista, non incomprensibile, delle conseguenze di Fukushima. Ma nell'insalata referendaria all'italiana non si vedono politiche alternative, si vede soltanto una netta decisione negativa: le preoccupazioni liberiste, sviluppiste e garantiste sono state rigettate come merce avariata, spacciata di volta in volta dalla destra capitalista e dalla sinistra riformista. Il popolo dei comitati ha parlato. Ha imposto la sua legge, benedetto tra l'altro da un'interferenza legittima della chiesa cattolica, dei suoi vescovi e delle sue attivissime suorine, una sovranamente attiva (com'è giusto) nello spazio pubblico; ha imposto la sua legge ispirato al protocollo doverista della partecipazione al voto come obbligo costituzionale, il canone di comportamento civico, a suo modo ineccepibile, di Giorgio Napolitano. Certo, il popolo dei comitati non avrebbe vinto tano peruasivamente senza il Pd, e senza le atroci dichiarazioni astensioniste di Berlusconi e Bossi, ma alla guida dell'avventura c'è lui con le sue idee o frammenti di idee e di sensibilità diffuse.

    I Pisapia, i De Magistris, i Di Pietro, i Vendola, i Grillo sono figure e figurine politiche di amalgama del nuovo mondo ideologico, dello sperimentalismo retorico di un altro utopismo possibile. Non si vedono all'orizzonte una formula di governo, una coalizione che la regga, un programma che la giustifichi e cementi o almeno incolli un credibile blocco sociale. Ma blocco sociale è una dizione vecchia, immagino si replicherebbe, nell'era di Facebook, della rete e delle piazze Tahrir affollate di folle senza volto, di aspirazioni limpide che reclamano la scena, tutta la scena, e vengono prima dei leader e dei partiti. Di Pietro, il nuovo Di Pietro tutto da studiare, si è mostrato il più furbo. Invece di reclamare i meriti referendari che gli appartengono, e di buttarla classicamente e banalmente in politica, ha cercato di mettersi nel perimetro delle aspirazioni civiche allo stato di magma, e di non frustrare con eccessi di politicismo strumentale (“dimissioni”, “dimissioni”) la festa culturale e ideologica in atto a quorum raggiunto.

    La parallela vicenda televisiva, e cioè il grottesco psicodramma a lieto fine dei contratti dei conduttori più in voga nel teatrino del populismo progressista, dimostra che questo fenomeno è una specie di berlusconismo rovesciato. La televisione nella forma suprema del talk show (ben integrata dal chat show più primitivo ancora, ma più globale, della rete narcisista descritta ieri sul New York Times da Ross Douthat) rende vocale, immateriale, scarnificata di ogni accenno alla responsabilità e alle libertà di mercato questo rilancio epicizzante e metapolitico del sociale, del pubblico come bene e del bene pubblico come soluzione universale, della paura della crescita, della precauzione come filosofia di vita, della sicurezza senza rischi, costi quel che costi.

    La crisi del berlusconismo c'è e la si può leggere anche nei risultati del referendum, né si intravedono energie capaci di sanarne gli effetti con un cambiamento politico e simbolico all'altezza della situazione; ma continua a latitare un elementare principio di sostituzione del declinante sistema di consenso al Cav. con un sistema di sostegno ad altra e diversa leadership. I capi della sinistra dei partiti devono cercare di leggere con attenzione questa virtuale bocciatura dei diversi riformismi. Non si può nemmeno escludere, per quanto difficile se ne prospetti la possibilità, che in un paese infinitamente fantasioso e melodrammatico come il nostro alla fine possa candidarsi come potenzialmente maggioritaria la generica aspirazione alla protezione universale e alla destrutturazione di ogni sistema di governo e di potere che la nuova epica incarna nella forma della refrattarietà e dello spirito fricchettone. 

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.