La guerra intorno a Berlusconi
Cacciando Fini senza tanti complimenti e rigettando le regole intrinseche di una coalizione a più teste, Berlusconi si è indebolito. Anche l'imbecille politico, specie non rara, dovrebbe averlo capito. Una maggioranza parlamentare asfittica è peggio di una maggioranza che deve fare i conti con un controcanto fastidioso e talvolta un po' vacuo.
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Cacciando Fini senza tanti complimenti e rigettando le regole intrinseche di una coalizione a più teste, Berlusconi si è indebolito. Anche l'imbecille politico, specie non rara, dovrebbe averlo capito. Una maggioranza parlamentare asfittica è peggio di una maggioranza che deve fare i conti con un controcanto fastidioso e talvolta un po' vacuo. La tesi di questo giornale era che con Fini, nonostante la sua vacuità, si dovesse mediare a oltranza riorganizzando i termini del gioco di squadra. Quando Berlusconi vinse le elezioni avendo cacciato Casini, ci chiedemmo, per portarci un poco avanti col lavoro: e ora come farà il premier a governare i conflitti, come funzionerà Letta senza un gruppo democristiano nell'esecutivo, come riuscirà a districarsi tra Maroni e Tremonti? Carta canta, bastava leggere. E così purtroppo è andata: Palazzo Chigi ha perso il suo baricentro subito dopo essersi liberato di un giocatore spesso molto sleale, il democristiano dei piccoli, e delle sue trame. Il risultato è che, partito l'indecoroso assedio al nostro amico Berlusconi, lo spazio per rispondere con una grande politica, fondata sulle riforme e sulla crescita economica e sociale del paese, non c'era più o era impraticabile. E il Cav. si è visto ridotto alla sola veste di imputato combattivo e comprensibilmente rancoroso con i suoi persecutori, il che però non basta a bloccare e rigettare la crociata del gruppo Espresso-Repubblica che si è letteralmente mangiata la politica dell'opposizione di sinistra. L'attacco giudiziario era tanto più vile in quanto portato con argomenti di miserabile moralismo da gruppi che non hanno titolo morale per fare lezioni ad alcuno (come si è visto nella gestione loffia del caso Strauss-Kahn, trattato all'insegna della doppia verità), ma era politicamente insidioso. E la risposta non doveva essere il bunker, piuttosto l'esatto contrario. Per un certo tempo la Lega ha aiutato, con il suo fiuto politico, ora si è messa anch'essa nel bunker, ma non si sa che cosa farà per uscirne dopo le dure difficoltà elettorali al Nord.
Intanto intorno a Berlusconi, che come sempre lancia il cuore oltre l'ostacolo, ma stavolta sembra lanciare con eccessivo sprezzo del pericolo anche il senso comune e il suo fiuto politico, sono cominciate le grandi e le piccole manovre di smarcamento e di posizionamento di gruppi e leader impressionati, per così dire, dalla durezza dei tempi. Tutto questo è fisiologico, i partiti vivono di aspettative di potere, e quando sono partiti veri questa attesa è fatta di idee, di identità, di programmi e di patriottismo. Dalla facilità con cui nella battaglia di Milano si misurano, ancora prima dei ballottaggi, linee spericolate che disconoscono il candidato della coalizione alla vigilia del voto e immettono nella contesa un radicalismo estraneo al carattere moderato dell'elettorato laico borghese e alle potenziali alleanze del centrodestra nella città cattolica di rito ambrosiano, si vede quanto sia aspra la guerra, non contro il nemico, ma intorno a Berlusconi.
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