La cattedrale nella steppa

Luigi De Biase

Due giovani sposi arrivano in cima alla torre Bayterek, novantasette metri di ferro e vetro opaco piantati al centro di Astana, nella steppa del Kazakistan. Portano abiti cinesi e rispondono agli auguri con sorrisi educati. Il sole basso dell'Asia riempie di smorfie le loro foto ricordo, ma non c'è matrimonio senza una visita alla torre: Bayterek significa albero della vita, salire qui vale quanto una benedizione.

    Due giovani sposi arrivano in cima alla torre Bayterek, novantasette metri di ferro e vetro opaco piantati al centro di Astana, nella steppa del Kazakistan. Portano abiti cinesi e rispondono agli auguri con sorrisi educati. Il sole basso dell'Asia riempie di smorfie le loro foto ricordo, ma non c'è matrimonio senza una visita alla torre: Bayterek significa albero della vita, salire qui vale quanto una benedizione. Ogni cosa è un simbolo in questo centro moderno, costruito in quindici anni secondo il volere del Primo presidente, Nursultan Nazarbayev, al potere dal 1991. Il governo ha speso sette miliardi di dollari per le opere pubbliche e gli investimenti non sono ancora finiti. Nazarbayev ha voluto un palazzo che sembra la Casa Bianca ma è grande cinque volte tanto; una piramide alta come San Pietro che s'illumina con quattro colori diversi; e la moschea Nur Astana, in grado di ospitare cinquemila fedeli.

    Ma il vero trionfo si chiama Khan Shatyr, la tenda del sultano, un complesso sotterraneo per diecimila cittadini chic: comprende centri commerciali, boutique e parchi per i bambini, mentre le donne kazache si rilassano all'ultimo livello, su una spiaggia artificiale fatta con la sabbia della Malesia e le palme dei Caraibi. “E' il modo migliore per passare il pomeriggio quando la temperatura arriva a meno quaranta”, racconta al Foglio una hostess di nome Yuliana, stretta nell'accappatoio. Nonostante i megaprogetti, Astana è ancora fra le città meno ospitali del pianeta: soltanto gli operai affrontano in strada il vento di novembre con le tute da neve e qualche sorso di vodka. L'idea di costruire una capitale nel cuore della steppa è singolare. Quando i lavori sono partiti, molti hanno pensato che il piano fosse folle. Nazarbayev ha sempre risposto che si tratta del progetto “più grandioso” mai realizzato in oriente. Chi ha visto la città sa che le due opinioni stanno insieme senza grossi problemi. Quindici anni dopo l'inizio dei lavori, Astana è pronta per i Giochi dell'Asia, il Summit dei paesi musulmani e il vertice dell'Osce, che aprirà il primo dicembre. Il governo ha una macchina di marketing potente e invita ogni mese decine di giornalisti stranieri per mostrare che la città funziona. E che Nazarbayev non è un leader autoritario ma un capo “à la De Gaulle”, come dice al Foglio Roman, un funzionario del ministero degli Esteri.

    Il Primo presidente è salito al potere poche settimane dopo la fine del comunismo e nessuno è mai riuscito a scalzarlo: non ce l'hanno fatta i movimenti di opposizione, i colpi bassi dell'economia globale e i gruppi di terroristi che infestano le altre Repubbliche della regione. Oggi ha settant'anni ed è considerato un padre della patria, come Heydar Aliyev in Azerbaigian e Mustafa Kemal in Turchia. Per molti analisti, il controllo che esercita sul paese assomiglia a quello di un satrapo.
    Il culto del leader è un elemento della nazione kazaca. I manifesti con il volto di Nazarbayev sono popolari in tutto il paese e un paio di musei raccolgono gli oggetti della sua famiglia. All'ingresso del palazzo Ak Orda, la gigantesca replica della Casa Bianca, c'è un dipinto in cui il presidente compare al centro di una folla in festa. S'intitola “Il sogno”: fra le persone che applaudono è possibile riconoscere il presidente francese, Nicolas Sarkozy, il premier italiano, Silvio Berlusconi, tre leader russi (Vladimir Putin, Dmitri Medvedev e Boris Eltsin, che è morto nel 2007) e un gran numero di sovrani dell'Asia.

    I deputati hanno un grande affetto per il loro leader e ogni anno presentano leggi per assegnare a Nazarbayev una carica a vita. Lui ringrazia e respinge le proposte. I risultati delle elezioni dicono che non ha bisogno di aiuti per restare al comando: il suo partito, Nur Otan (“madrepatria”), non è mai sceso sotto il novanta per cento dei voti e controlla tutti i seggi in Parlamento. Tutti i ministri fanno parte di Nur Otan, così come e gli ufficiali del corpo diplomatico. L'Osce ha criticato ogni elezione che si è tenuta in Kazakistan negli ultimi vent'anni e diverse organizzazioni internazionali attaccano Nazarbayev per le violazioni dei diritti umani. Su questo punto, la linea del governo è precisa: “Il Primo presidente ha scelto la democrazia – spiega al Foglio il ministro degli Esteri, Kanat Saudabayev – Le riforme sono cominciate con lui, ma non hanno una data di scadenza”. Il mantra è ripetuto senza esitazione – e senza eccezioni – da ogni ministro.
    I giornalisti kazachi dividono l'opposizione in due tronconi: da una parte c'è quella costruttiva, dall'altra quella dannosa. Una comprende i politici, gli attivisti e i quotidiani che sono vicini al presidente e cercano di migliorare l'azione del governo. L'altra è formata dai rivali di Nazarbayev. Il governo sostiene la stampa in molti modi. Per esempio, assegna inchieste ai quotidiani attraverso una gara d'appalto – e vince chi offre il numero maggiore di pagine al prezzo più basso.

    Non è un paese per rottamatori
    Karin Erlan è un ragazzo elegante con la passione per l'antichità e gli abiti di taglio europeo. Nell'ufficio conserva un centinaio di frecce antiche che cerca di catalogare. A 34 anni, può dire di essere uno dei leader politici più importanti dell'Asia, dato che Nazarbayev l'ha scelto per guidare Nur Otan. Il partito ha 700 mila iscritti, per entrare occorrono cinque lettere di raccomandazione e una quota annuale (che varia a seconda del reddito). “E' vero – spiega al Foglio – il nostro movimento domina la politica kazaca, ma questo non vuol dire che gli altri non abbiano il diritto di partecipare alle elezioni. E' la gente che decide e nessuno vede un'alternativa al Primo presidente”. In primavera il paese è andato alle urne per eleggere settanta amministratori locali. Nessuno fra i partiti dell'opposizione ha presentato candidati. Nonostante la differenza d'età, Erlan non si sente affatto un rottamatore: il pensiero di un futuro senza Nazarbayev lo fa addirittura incupire. “Il Primo presidente non ha ancora annunciato la propria presenza alle prossime elezioni, ma crediamo che lo farà presto. Penso che resterà alla guida del paese ancora per tanto tempo”.
    Nazarbayev ha un piano di sviluppo che dura sino al 2020. Entro quella data vuole portare il Kazakistan fra le prime cinquanta economie del pianeta: non è male per una terra che ha vissuto settant'anni di comunismo, esperimenti nucleari, gulag e deportazioni. I numeri da atlante dicono che si tratta di un progetto complicato, perché il paese ha la superficie dell'Unione europea e gli stessi abitanti del nord Italia – circa sedici milioni.

    Il presidente può contare su una fortuna sepolta nei pressi di Atyrau, una città di frontiera a duemila chilometri da Astana: in un angolo del Caspio che confina con la Russia ci sono Tengiz, Karachaganak e Kashagan, tre giacimenti di petrolio da trenta miliardi di barili. “Ce n'è abbastanza per assicurare al paese cinquant'anni di prosperità”, dice Kairat Kalimbetov, il presidente di Samruk Kazyna, un fondo sovrano che gestisce un quarto del pil. Per arrivare nel suo ufficio bisogna superare un paio di perquisizioni e due assistenti graziose. Segretarie e sistemi di sicurezza sono una costante nei palazzi di Astana. Samruk Kazyna controlla decine di servizi pubblici, come le poste e le ferrovie, ma anche la società energetica di stato, KazMunaiGas. Questo particolare fa di Kalimbetov un personaggio molto corteggiato nelle capitali d'Europa. “Vogliamo che il nostro petrolio arrivi in occidente e abbiamo molti progetti per inserire il nostro greggio nei canali di distribuzione europei – spiega durante un incontro con il Foglio – Da anni collaboriamo in modo stretto con Eni: gli italiani hanno avuto il ruolo principale nello sviluppo di Kashagan e continueranno a ricoprire una posizione importante in futuro. Con loro abbiamo appena firmato un'intesa da tre miliardi di dollari”. Kashagan assomiglia più a un film dell'orrore che a un pozzo di petrolio. La temperatura tocca i quaranta gradi d'estate e scende a meno trenta nei mesi invernali, il greggio è estratto su una piattaforma costruita sul Caspio gelato e arriva in Europa grazie a una flotta di petroliere che lo trasportano in Azerbaigian, sull'altra sponda del grande lago. Il giacimento è stato scoperto nel 2000.

    Eni è arrivata pochi mesi più tardi. Le relazioni con il governo di Astana hanno avuto momenti di tensione, ma Kalimbetov considera alle spalle le difficoltà: oggi, la partnership con il cane a sei zampe riguarda anche un giacimento di gas nella parte orientale del paese, a Karachaganak. “Il nostro petrolio andrà in occidente, e sono convinto che il principale acquirente del gas kazaco sarà Pechino – dice il presidente di Samruk Kazyna – La Cina è in vantaggio perché si è dimostrata un partner affidabile anche nei momenti di crisi. Tuttavia, non vogliamo che i cinesi siano i soli a investire nel nostro paese: in questo momento il nostro obiettivo principale è diversificare”. In città si parla molto del gasdotto Tapi, come le iniziali di Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India: Kalimbetov pensa che sia il progetto più credibile per rifornire l'oriente, ma nessuno sa dire quando sarà realizzato.
    Il Kazakistan è un mercato importante per un'altra società italiana, Finmeccanica, che contribuisce alla costruzione della linea ferroviaria e collabora alla riforma del sistema postale. Un anno fa, nell'unica visita italiana di Nazarbayev, Finmeccanica ha raggiunto un accordo con le industrie militari di Astana; l'intesa si è consolidata negli ultimi mesi grazie a una serie di commesse per la controllata Selex Galileo.

    Il sogno del Primo presidente
    Oltre al petrolio c'è la geografia. Questo paese ha una posizione decisiva sotto il profilo strategico, copre buona parte dell'Asia centrale ed è sulle rotte che collegano la Cina all'Europa e la Russia all'India. Anche gli Stati Uniti tengono in grande considerazione il parere di Nazarbayev per gli affari che riguardano la regione: due giorni fa, i diplomatici del dipartimento di stato hanno firmato un accordo per far passare da Astana i rifornimenti alle truppe di stanza in Afghanistan. “La lotta al terrorismo è una priorità del nostro governo – dice al Foglio Adil Akhmet, il presidente della commissione Esteri del Senato – Ma questo non vuol dire che sosteniamo la guerra. Sapete che cosa significa ‘talebani'? ‘Talebani' vuol dire ‘studenti'. L'occidente sta facendo la guerra contro degli studenti!”.

    Ci sono gruppi di integralisti che hanno cercato di trovare rifugio in Kazakistan, ma i metodi usati dalle forze di sicurezza li hanno convinti a desistere. Lungo il confine violento che separa il paese dall'Uzbekistan ci sono movimenti di “missionari” – la gente del posto definisce così i terroristi – che cercano di trovare proseliti per il jihad. La questione sarà discussa al vertice dell'Osce che si apre il primo dicembre ad Astana. Molti leader europei hanno già confermato la loro presenza, a partire da Sarkozy, che conosce bene la capitale – ci è già stato una volta da quando siede all'Eliseo e il suo locale preferito, Johnny's, è una specie di cult fra i giovani kazachi. Per Nazarbayev è l'occasione di una vita: può mostrare al mondo le meraviglie della sua città modello e raccogliere il tributo che i suoi pittori sognano.