Dice Weigel
Pellegrino in terra impossibile
Chi non capisce che “Joseph Ratzinger ha passato più di mezzo secolo a spiegare ai cristiani il debito nei confronti del giudaismo” non capisce né lui né il suo pontificato. Addirittura secondo George Weigel, teologo cattolico americano dell'Ethics and Public Policy Center e autore di best seller sugli ultimi due pontefici, sarebbe una vergogna se chiunque parlasse di Benedetto XVI, cattolici, ebrei o musulmani, “si basasse soltanto sulla caricatura fumettistica e non sul vero uomo”.
Chi non capisce che “Joseph Ratzinger ha passato più di mezzo secolo a spiegare ai cristiani il debito nei confronti del giudaismo” non capisce né lui né il suo pontificato. Addirittura secondo George Weigel, teologo cattolico americano dell'Ethics and Public Policy Center e autore di best seller sugli ultimi due pontefici, sarebbe una vergogna se chiunque parlasse di Benedetto XVI, cattolici, ebrei o musulmani, “si basasse soltanto sulla caricatura fumettistica e non sul vero uomo”. Certo, dice Weigel, anche il Vaticano ha da lavorare sulla sua comunicazione, ma spesso e volentieri i fraintendimenti delle parole del Papa sono dovuti al fatto che “molti giornalisti non hanno il bagaglio intellettuale adatto”. Per questo ieri, quando il Papa ha messo piede in uno dei luoghi più sensibili del pellegrinaggio, il mausoleo che ricorda l'Olocausto, erano tutti pronti a scatenare una seconda Ratisbona.
Il Papa per l'ennesima volta ha condannato “l'orrenda tragedia della Shoah” e ha ribadito la posizione della chiesa. Per il pellegrino Ratzinger, amico degli ebrei, però, il rapporto fra occidente e Terra Santa va oltre l'omaggio alla memoria della Shoah. E' il rapporto fra culture e religioni differenti che si incontrano. E che devono, ha detto il Papa davanti al presidente israeliano Peres, contribuire a ricercare la pace. Con Dio e non nonostante Dio. Per il Papa dialogare non significa nemmeno appiattirsi su una “monocultura”, concordare forzatamente su tutto in nome di un'armonia falsa. Quello che esiste fra ebrei e cristiani, spiega Weigel, è un rapporto di amicizia. “Gli amici fra loro si dicono la verità: l'amicizia nella quale non si dice la verità non è un'amicizia vera. Allo stesso modo il dialogo vero parte dalla premessa che, mentre esiste un desiderio umano naturale di verità, alle volte chi sta dialogando con noi ci può fraintendere. Noi cristiani rispettiamo la ricerca della verità da parte degli ebrei, in se stessa e perché può illuminare anche la nostra stessa ricerca. Ma diciamo anche loro quando pensiamo che abbiano svoltato dalla parte sbagliata sulla strada verso la verità”. Fra ebrei e cristiani – spiega Weigel – in fondo c'è in comune anche la speranza messianica. Soltanto che per i cristiani si è già realizzata. “Un amico rabbino – racconta – una volta mi ha detto: ‘Quando il messia verrà, sarà la prima o la seconda volta? Voi cristiani dite che sarà la seconda. Io spero soltanto che, quando verrà, lo riconosceremo tutti'”.
Quella con l'islam, invece, è un'altra storia. “I cristiani non possono accettare per esempio – dice Weigel – il convincimento musulmano secondo il quale ciò che loro credono essere la rivelazione di Dio a Maometto rimpiazza e completa la rivelazione del Dio biblico. Dal nostro punto di vista questo non è vero. Eppure quella differenza di giudizio così significativa non deve portare a violenza e guerra”. Un po' come accade fra cristiani e mormoni in America: quella che i mormoni ritengono sia una rivelazione a Joseph Smith non ha portato a una guerra. Il problema, proprio come aveva detto Benedetto XVI anche domenica ad Amman, è la manipolazione delle differenze esistenti fra le fedi per fini politici.
Per Benedetto XVI il dialogo è una questione di ragione. Rafforzare la relazione fra fede e ragione è uno dei principali temi pubblici del pontificato – dice Weigel – Prima di tutto, è importante per la nuova evangelizzazione, alla luce della sfida del nuovo ateismo. Poi è il terreno disponibile sul quale può realizzarsi un dialogo con l'islam”. Meglio dialogare sulla base della ragione, piuttosto che mettere in piedi un bel teatrino di convenevoli interreligiosi. Anche perché “un islam che guarda ad Avicenna e Averroé per trarre ispirazione sul suo incontro con il mondo non islamico, invece che ispirarsi a Sayyid Qutb e Ruhollah Khomeini, non rappresenterà una minaccia per il resto del mondo”.
Anche il dialogo cattolico con l'ebraismo si basa sulla ragione, ma la sua struttura è diversa da quello che il Papa cerca faticosamente d'instaurare con l'islam. “Quello che chiamiamo occidente è un prodotto dell'interazione fruttuosa della religione biblica (l'ebraismo e il cristianesimo) con la cultura classica (la filosofia greca e il diritto romano). Per questo questo dialogo ha una consistenza diversa”. Al di là delle Sacre Scritture, per Weigel, un buon punto di partenza per la costruzione di un dialogo organico cattolico-giudaico su fede è già stato messo: “E' il discorso pronunciato da Giovanni Paolo II sul Monte Sinai nel 2000, quando il Papa parlò delle verità morali dei dieci comandamenti scritti nel cuore dell'uomo (come per esempio la legge morale naturale) prima che sulle Tavole di pietra”.
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